Disruptive innovation, di cosa si tratta?
Disruptive innovation: cosa c’è da sapere
Il business è sempre più orientato verso l’innovazione tecnologica. Cambiano gli usi dei consumatori finali, cambia l’attenzione verso l’innovazione digitale e anche le società si adeguano con assetti totalmente diversi rispetto a qualche anno fa.
Di certo questo non è un segreto ma avere le competenze giuste e un team tra i più validi non è ancora abbastanza. In un contesto così competitivo, da qualche anno si sente parlare di Disruption, una vera e propria rottura rispetto a tutto quello che è nel nostro comune modo di pensare. Si tratta di un cambiamento repentino e radicale in termini di innovazione tecnologica che non va confuso con l’accelerazione tecnologica.
Una disruptive innovation porta in un tempo relativamente contenuto ad una vera e propria rottura rispetto al passato, introducendo nuovi modi di fare, pensare o interpretare ciò che ci circonda. Un cambiamento talmente grande da modificare i comportamenti delle persone e la sfera sociale.
L’origine della Disruptive Innovation
Quando nel 1995 Clayton Christensen e Joseph Bower pubblicarono l’articolo “Disruptive Techonologies: Catching the Wave” sulla Harvard Business Review, fecero specifico riferimento a quelle tecnologie rivoluzionarie che anticipano le esigenze del mercato, trasformandolo completamente. Secondo Christensen l’innovazione, in estrema sintesi, può essere divisa in due tipi: sustaining innovation e disruptive innovation.
La prima, è il miglioramento dell’esistente per mantenerlo (ad esempio rispondendo alle lamentele dei clienti). La seconda, invece, intercetta esigenze non ancora espresse, eppure latenti, anticipando il futuro e di fatto creando un nuovo mercato.
La Disruptive innovation può essere definita come l’effetto di una nuova tecnologia o di un nuovo modo di operare su un modello di business, che porta a modificare completamente la logica fino a quel momento presente nel mercato, introducendo comportamenti e interazioni nuove e rivoluzionando quindi le logiche correnti. L’impatto è in qualche modo imprevedibile. La definizione di “disruptive” può infatti essere affidata solo dopo averne visto riconoscere il valore in modo diffuso per opera dei reali cambiamenti apportati nel modello in cui si è inserita.
Cambiare il modo di pensare
Si può generalmente parlare di disruption se si manifesta un cambiamento in qualche modo inaspettato nel modo di funzionare di un business (e della società in generale), soprattutto grazie alle potenzialità offerte dalla tecnologia. Ed è proprio così che in pochi anni (e spesso a costi relativamente contenuti) sono stati spazzati via interi settori e alcuni colossi sono diventati un lontano ricordo. Pensiamo ad esempio a Blockbuster che, grazie al noleggio di film in videocassetta, è arrivato a popolare le città di tutto il mondo per poi scomparire nel giro di pochissimo tempo dopo l’entrata nel mercato dei contenuti video digitali. Se da un lato le disruptive innovation continuano a mietere vittime, dall’altro è innegabile l’effetto innovativo sulla popolazione mondiale. L’esempio più lampante è l’entrata nel mercato dello smartphone che ha decisamente cambiato lo stile di vita di chiunque ne possieda uno, un fenomeno tale da essere definito Big-Bang Disruption.
L’enorme diffusione su scala mondiale di smartphone e tablet e soprattutto l’immensa mole di app che possono essere installate, hanno apportato una varietà elevatissima di funzionalità negli ambiti più diversi. Anche leggere l’ora su un orologio è diventato demodè, bastava un cellulare, figuriamoci uno smartphone. Incredibile ma vero, chi oggi acquista un orologio lo fa più per avere un accessorio classico o alla moda, definire uno status sociale a meno che, ovviamente, non si tratti di wearable technology. Dalla Silicon Valley ai garage nostrani, molte innovazioni tecnologiche sono nate con bassi investimenti per poi diventare assolutamente “indispensabili” nella vita di tutti i giorni.
Il cloud e la banda larga, aggiunti alla necessità delle persone di rimanere sempre connesse, hanno amplificato ancora di più le conseguenze della disruption. L’avvento di Whatsapp ha consentito lo scambio di messaggi totalmente gratuiti tra utenti, annientando i ricavi derivanti dagli SMS che ormai sono stati quasi totalmente abbandonati e rivoluzionando il mercato dei gestori di telefonia. Ma all’interno di settori che già possono essere definiti disruptive come il commercio online, c’è ancora spazio per nuove rotture. Ne è un esempio Amazon, che diventa fornitore di contenuti televisivi quando lo abbiamo sempre considerato come un fornitore di prodotti online.
Anche nel settore turistico, colossi come Booking e Airbnb ci hanno abituato ad organizzare autonomamente i nostri viaggi, trasformando completamente il modello di business alberghiero. Il concetto di distruption non è solo accelerazione tecnologica.
Basti pensare ai primi uomini che hanno imparato a coltivare la terra o all’avvento della scrittura, alle invenzioni che hanno avviato i primi cambiamenti sociali e a tutti momenti storici che hanno segnato l’inizio di una nuova epoca. Oggi siamo sicuramente più pronti al cambiamento, ci aspettiamo un’innovazione dopo l’altra e la nostra mente così aperta rappresenta un ulteriore stimolo a superare i confini conosciuti.
La prossima distruptive innovation è dietro l’angolo, forse è già nella vita quotidiana di qualcuno che ancora non si è accorto delle sue potenzialità.
Tratto da Uomo&Manager di dicembre 2019