Felicità dei lavoratori: ecco qual è la situazione
“La ricerca della felicità” è un film che ha davvero colpito l’anima di ognuno di noi. Ma noi siamo davvero felici? L’Associazione “Ricerca Felicità” ha rilasciato i primi dati sullo stato di salute della felicità e del benessere dei lavoratori, sia a livello aziendale che individuale e sociale, fotografando sei obiettivi d’indagine: felicità in generale, solitudine e isolamento, felicità al lavoro, senso di appartenenza, riconoscimento e discriminazione e lavoro e suo significato.
La ricerca ha coinvolto 1.314 persone, suddivise tra lavoratori dipendenti (72,3%) e liberi professionisti (27,7%), suddivisi per sesso con una media ponderata di 42.3% di donne e il 57,7% di uomini, appartenenti alle 4 generazioni (Baby Boomers, Generazione X, Millennials, Generazione Z) in rappresentanza della popolazione italiana attiva nel mondo del lavoro.
Dai risultati della ricerca si evince che il 16% ritiene che l’affermazione “esprimo le mie emozioni senza essere giudicato” nell’ambiente di lavoro sia assolutamente falsa, mentre quasi il 30% si ritiene poco concorde con l’affermazione “i miei meriti vengono sempre riconosciuti”.
Tra i Baby Boomers è significativamente più elevato il peso di coloro che ritengono riconosciuti in modo assolutamente adeguato i loro meriti rispetto alle altre generazioni (31% contro una media di 20/21%).
Se si analizza la dimensione felicità in generale e la soddisfazione della vita, emerge che tra i rappresentanti della generazione Z solo il 19% si trova concorde a ritenere che la propria vita sia vicina al proprio ideale, contro il 28% dei Baby Boomers. Anche nella dimensione legata alla solitudine/isolamento si può notare come questi siano maggiormente sentiti dai giovani/giovanissimi rispetto agli adulti, si passa infatti dal 21% fino al 10% (dai più giovani ai più anziani) di coloro che sentono questi problemi e dal 42% al 57% di coloro che non si sentono particolarmente toccati dalla questione.
“Ci siamo focalizzati nell’ambito lavorativo ma di fatto il centro della nostra ricerca è sempre l’individuo. Con questa raccolta di dati non c’è nessuna pretesa di trovare una risposta ma un punto da cui partire per ampliare il dialogo e capire con quali strumenti agire per aumentare il benessere sul lavoro nel nostro Paese. Non consideriamo la felicità un sentimento fugace ma una meta-competenza scientificamente provata che può permettere, attraverso l’inclusività e le ricchezze dei singoli, un nuovo benessere organizzativo” afferma Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità. “I dati mostrano una popolazione mediamente soddisfatta, ma quello su cui va assolutamente puntata l’attenzione è la mancanza di allineamento valoriale tra lavoratori e imprese e la mancanza di orientamento al futuro. Siamo un Paese che dovrà fondare tutto sulla creatività e sulle potenzialità innovative di ripresa per consentire all’Italia, di uscire da questo grave periodo di rallentamento medio dell’Economia. Riteniamo quindi sia fondamentale ascoltare con attenzione i segnali deboli che provengono da questi dati, soprattutto in merito all’importanza di far leva sull’ascolto attivo e attento dei propri collaboratori. Ci sono opportunità incredibili, per la redditività delle imprese e per la loro crescita a livello competitivo in Italia e nel mondo, quando si valorizzano le aspirazioni individuali dei collaboratori e si aiutano a esprimere se stessi sul lavoro”.
Il mondo del lavoro è stato analizzato da diversi punti di vista e si osserva come le frasi “mi fa capire le persone e il mondo che mi circonda” con il 27.9% e “contribuisce alla mia crescita personale” con il 25,3% siano stati indicati in modo estremamente preponderante da chi ritiene questa affermazione “vera” nel contesto nel suo lavoro, mente le frasi “soddisfa tutti i miei bisogni” con il 27,1% e “ho una carriera piena di significato” con il 24% siano quelle scelte da chi le ritiene “false” ossia per nulla riscontrabili nel proprio ambito lavorativo. Il 15.3% ritiene che l’affermazione “ha un impatto positivo per il mondo” riferita all’azienda in cui lavora sia assolutamente falsa e alla domanda se il proprio lavoro “fa la differenza” solo il 7.6% crede sia assolutamente vero contro il 13.5% assolutamente falso.
“Crediamo sia fondamentale, per chi coordina persone, prendere in seria considerazione il soddisfacimento dei bisogni di collaboratori o dipendenti. In ogni azienda ci dovrebbe essere un piano di sviluppo dei bisogni perché il benessere aziendale si traduce in performance migliori. Questa è scienza e una ricerca di Ernst & Young realizzata assieme all’Università di Harvard*, ha dimostrato che le aziende che lavorano perché tutti i propositi siano allineati, rendono agli investitori fino a dieci volte di più” commenta Sandro Formica, VicePresidente e Direttore scientifico dell’Associazione Ricerca Felicità. “Non sottovalutiamo quindi il potenziale inespresso che si otterrebbe aiutando i propri lavoratori ad esprimere emozioni e creatività. Non fermiamoci di fronte alla sensazione di soddisfazione generale che potrebbe essere dettata da rassegnazione piuttosto che da reale felicità. Non sottovalutiamo i segnali deboli che si evincono da lavoratori che si sentono meno soddisfatti, in generale, sul riconoscimento dei loro meriti (media 3,33) o soddisfazione sulle opportunità di carriera dove il 23,7%, la maggior parte dei lavoratori, indica che è soddisfatto pochissimo”.