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Generazioni diverse al lavoro: com’è la convivenza?

in cerca di lavoro

Mettere insieme sullo stesso posto di lavoro i boomers, quelli della Generazione Z e la successiva. È davvero possibile? È produttivo? Queste le risposte che ci si aspettavano al termine dello studio Generazioni al Lavoro, condotta da InfoJobs.

Cosa succede quando un lavoratore o un professionista di 50 anni inizia a lavorare con uno di 25? Dallo studio emerge che sul campione di Boomers, Gen X, Millennials e Gen Z, il 70,4% ritiene che il rapporto tra le figure più anziane e i giovani, sul lavoro, generi benefici reciproci. C’è solo un 15,6% che ritiene che ci sia un rapporto conflittuale, perché ogni generazione è custode del proprio know-how e tende a non condividerlo, mentre il restante 14% non è in grado di valutarlo perché non ci sono occasioni di scambio tra le generazioni nel proprio ruolo (9,3%) o perché nella propria azienda senior e junior occupano proprio ruoli differenti, generalmente in ambiti manageriali e ai livelli base (4,7%).

Un buon dato dunque, forse dovuto alla voglia dei più “grandi” di rimanere sempre al passo con i tempi e a quella dei più giovani di non sfigurare e mostrare subito le proprie capacità.

Quali sono gli elementi in comune?

Certamente ad unire è il desiderio di work-life balance, un valore sempre più rilevante per tutti i lavoratori, tanto che il 49,8% del campione lo ritiene fondamentale per tutte le generazioni senza distinzioni, mentre secondo il 20,2% è più sentito dai giovani data la loro attenzione e protezione verso la propria vita privata. Per il 30% il work-life-balance è più cercato e richiesto da chi ha famiglia.

Per quanto riguarda l’attaccamento al lavoro, la maggior parte dei partecipanti (58,4%), ritiene che dipenda dal proprio modo di essere o dalla tipologia di lavoro svolto, non tanto dall’età. Ma se si parla di straordinari e disponibilità, le nuove generazioni sono meno propense a lavorare oltre l’orario lavorativo (32,7%). Solo l’8,9% dei rispondenti totali dichiara che le figure senior siano più stanche e non più motivate dal percorso di carriera e dunque non disponibili a ulteriori sacrifici.

Altro aspetto interessante emerso è che risulta una sostanziale percezione positiva verso un datore di lavoro e/o un superiore più giovane: vista come un’opportunità di imparare per la grande maggioranza degli intervistati (77%),considerata invece con diffidenza soprattutto in riferimento alle competenze dal 9,8%, e come una minaccia dal 13,1%.

Che tipo di conflitti possono nascere fra le diverse generazioni? Dallo studio risulta che i motivi di discussione possono nascere a proposito di alcune soft skill. Tra queste l’attitudine al problem solving, maggiormente presente nelle figure più adulte grazie all’esperienza maturata (lo dice il 43,8% del campione), seguita dalla poca propensione reciproca all’ascolto e voglia di imparare (36,4%) – dato avvertito più dai giovani (39%), e meno dai senior (32%). Per il 34,9% le discussioni possono nascere per via del differente livello di istruzione. E ancora, il fatto che la Gen Z, con la propria vita sempre connessa, sia abituata ad evadere le richieste in modo più veloce rispetto a colleghi con qualche anno in più (lo dice il 20% degli intervistati totali).

Filippo Saini, Head of Jobs di InfoJobs, ha dichiarato: “La collaborazione intergenerazionale sul lavoro è una grande opportunità per aziende e organizzazioni che ambiscano a essere sempre più competitive e attrattive per tutti i talenti. La sfida è facilitare il dialogo e la cooperazione tra i lavoratori attraverso modelli di business inclusivi e stili di leadership orientati all’ascolto e all’empatia. In questo modo sarà possibile valorizzare e mettere a sistema competenze, abilità e caratteristiche personali e professionali definite anche, ma non solo, dall’età anagrafica, creando ambienti di lavoro stimolanti”.

Quiet Quitting o il Reverse Mentoring, come vengono affrontati?

Per quanto riguarda il Quiet Quitting, sembra sia un fenomeno sconosciuto per il 38,2%. Da quelli che ne conoscono il significato nel proprio ambiente lavorativo, viene visto come cross generazionale (31,3%), emerso soprattutto dopo il periodo della pandemia. Per il 19,2% è invece tipico delle figure più mature, che ormai non vedono davanti a sé prospettive di carriera e solo per l’11,3% si tratta di una tendenza delle giovani risorse.

Il Reverse Mentoring (ovvero le competenze trasversali e lo scambio tra le varie generazioni), risulta essere fondamentale: lo afferma il 75,3%, con un sostanziale equilibrio nella riposta per tutte le età. Per il 12,2%, tuttavia, è vero solo se si parla di competenze tecnologiche, mentre per il 12,6% un “mentore” è esclusivamente chi ha una consolidata esperienza nel ruolo.