,

Governare le onde del cambiamento manageriale e professionale

cambiamento_trasformazione digitale

In quest’epoca di trasformazione straordinaria, siamo ormai consapevoli che dobbiamo considerare il cambiamento una dimensione quotidiana della nostra vita. 

Tutto questo vuol dire che dobbiamo tenere occhi e orecchie aperti per cogliere segnali deboli e forti al fine di capire come riorientare i nostri percorsi manageriali, professionali e imprenditoriali, le nostre attività formative, le nostre iniziative relazionali e di networking.

“Guardarsi allo specchio” in modo consapevole

Tali considerazioni generano, però, una serie di importanti domande: quali sono le regole di controllo che permettono di capire se un’idea di business è concreta o meno? Come facciamo ad accorgerci che stiamo insistendo su un’attività che non dà frutti? Come possiamo capire qual è il nostro prodotto/servizio? Domande complesse perché per poter rispondere bisogna essere in grado di “guardarsi allo specchio” in modo consapevole. 

Perché per analizzare le modalità con cui possiamo cambiare o innovare e, soprattutto, farlo, richiede fatica e impegno. Certo qualcuno si potrebbe chiedere se non sia meglio sedersi e aspettare che passi “la nottata”.

Prima di adottare un simile comportamento, riflettiamo però sul fatto che, negli ultimi trenta anni, il 90% delle multinazionali esistenti ha avuto una vita media di massimo 35/40 anni. E sapete perché? Perché queste megastrutture organizzative hanno preferito sedersi sulle proprie certezze invece di apprendere e cambiare.

Il cambiamento c’è a prescindere: solo chi sa cavalcarlo ce la fa

I business case di questo tipo sono innumerevole: l’iPhone di Apple che spazza via il mercato dominante di Nokia, Motorola e Blackberry, Fujifilm che si apre al digitale mentre Kodak sparisce, l’avanzata irresistibile dei produttori coreani e cinesi che disintegrano le posizioni dominanti dei signori degli elettrodomestici europei… 

Ma anche, spostandosi dagli atomi ai bit, il territorio dei cambiamenti di scenario più repentini e selvaggi è costellato di realtà straordinarie, grandi corporation che non hanno saputo guardarsi dentro ed adattarsi a crisi e mutamenti di scenario. Dal primo grande motore di ricerca, Altavista, destinazione obbligata dei navigatori a metà anni Novanta poi soppiantata dall’onnipresente Google, alle grandi piattaforme di social media come Facebook, X (Twitter), Linkedin/Microsoft, eccetera.

Una serie di storie che possono essere lette anche al contrario. Verso la fine degli anni Novanta, Bill Gates, che non aveva mai espresso molta fiducia nello sviluppo di Internet, fu costretto a una brusco riposizionamento di business per non rendere marginale Microsoft. Anche Apple, prima del ritorno di Jobs nel 1997, era con le spalle al muro. Una storia che insegna che c’è speranza per tutti ma bisogna essere affamati e folli come Steve Jobs o Bill Gates.

Le conclusioni (e le prime risposte alle domande precedenti) sono relativamente semplici: un’azienda (ma vale anche per un manager o per un professionista) ha la leadership del suo settore, guadagna tanto e gode di una situazione di vantaggio competitivo. Poi arriva una crisi, un cambiamento di scenario, una nuova tecnologia. Risultato quasi sempre scontato: si sparisce in poco tempo, anzi pochissimo. 

Ma la vera lezione è un’altra: quando un’azienda subisce una sorte di questo tipo e un’altra quasi identica, magari in condizioni simili, sopravvive alla sfida tecnologica o di cambiamento e riesce a surfare le onde alte del mercato, allora il capitalismo e la vita ci fanno capire che crisi e mutamenti non hanno per tutti le stesse conseguenze

C’è chi si adatta al cambiamento e sa cavalcarlo e chi no. La differenza è soltanto questa.

“In cima ad ogni vetta si è comunque sull’orlo di un abisso”
Stanislaw Jerzy Lec

A cura di Angelo Deiana