I manager italiani sempre più attratti dall’esperienza all’estero
I manager italiani sono sempre più attirati dall’esperienza di vita e di lavoro all’estero.
Come emerge dalle elaborazioni di Manageritalia sugli ultimi dati ufficiali Inps, sono in aumento i dirigenti privati che vanno a lavorare all’estero in pianta stabile.
Sono 1.579 (+24% dal 2008 al 2016) quelli che lo hanno fatto mantenendo un contratto dirigenti nazionale. Si tratta soprattutto uomini (94,4%), ma ci sono anche le donne (5,6%).
Di fatto si stima che i manager italiani attualmente espatriati per lavoro, i così detti Expat, siano oltre 20mila.
Tuttavia, per contraltare, aumentano, seppure in modo meno eclatante, i manager provenienti da Paesi esteri che vengono a lavorare e vivere in Italia, anche, ma non solo, per le sempre maggiori acquisizioni da mano straniera di aziende nazionali. Quelli con un contratto dirigenti italiano sono quasi 3.000, ma triplicano considerando quelli che hanno altre forme contrattuali.
Trascorrere parte del proprio tempo lavoro all’estero è per un manager ormai prassi (lo fa il 65% dei dirigenti del terziario secondo una recente indagine Manageritalia), ma lo sta diventando sempre di più anche espatriare. Un’esperienza lavorativa in un altro Paese rappresenta una straordinaria opportunità di crescita a livello professionale spesso cercata e a volte subita per mantenere l’incarico e/o il livello lavorativo.
I manager espatriati – secondo l’ultima indagine di AstraRicerche per Manageritalia e Kilpatrick Executive Search (2017 quasi 500 expat intervistati) – sono volutamente andati a lavorare all’estero (93%), cercando loro un’azienda che offrisse quest’opportunità (44%) o concordandolo con l’azienda nella quale erano in Italia (49%). Pochissimi (4%) sono stati obbligati dall’azienda. I motivi: possibilità professionali più stimolanti (51%), voglia di un’esperienza internazionale (38%), passaggio obbligato per fare carriera in azienda (24%). C’è anche chi è stato obbligato dal non aver trovato opportunità interessanti in Italia (27%) o da motivi personali/familiari (9%). Solo il 5% quelli che già all’estero per motivi di studio sono poi restati lì in pianta stabile.