Il lavoro come fattore primario di crescita e di benessere per un’Italia 4.0
Questione cruciale per lo sviluppo di un Paese e per i destini dei suoi cittadini è il tema del lavoro. Aumentare l’occupazione significa generare crescita economica, sviluppo e competitività.
Il lavoro è inoltre una leva potente nel determinare condizioni di sostanziale allargamento dei diritti e di cittadinanza, di autonomia e di realizzazione personale. Oltre ad essere fonte di soddisfazione, di sicurezza personale, di riduzione del rischio di povertà e di vulnerabilità di fronte agli imprevisti, il reddito da occupazione crea maggior consumo, ridefinizione degli obiettivi di risparmio ed aumenta la propensione agli investimenti. Come fattore macroeconomico, invece, ha un peso determinante sulla competitività del sistema economico nel suo complesso, contribuisce a mitigare la pressione generata dall’invecchiamento della popolazione e determina un aumento proporzionale del PIL. Da un punto di vista empirico il PIL – inteso come il valore complessivo di tutti i beni e i servizi prodotti in un dato Paese durante l’anno e che misura sostanzialmente la ricchezza dello stesso – cresce per effetto di tre dinamiche che si combinano in una semplice identità: più capitale per singolo lavoratore sommato ad una maggiore produttività per occupato e per unità di capitale investito, genera un aumento della ricchezza complessiva.
Lavoro come sinonimo di benessere
Una maggiore partecipazione della popolazione attiva al mercato del lavoro equivale quindi ad una migliore distribuzione di sviluppo produttivo e di benessere. Questo paradigma contribuisce naturalmente anche a contrastare forme di esclusione sociale che rappresentano oggi uno dei talloni di Achille della nostra economia. Incentivare e ridisegnare politiche di sviluppo e piani industriali che investano sul lavoro di qualità come fattore di crescita, provocherebbe un effetto shock e nel giro di pochi anni invertirebbe il trend negativo degli ultimi decenni.
Una maggiore presenza nel mercato del lavoro di uomini e donne aumenterebbe le entrate fiscali e previdenziali, stimolerebbe la domanda di servizi e ridurrebbe il rischio di povertà delle famiglie, soprattutto nel Mezzogiorno. Un investimento solido, persistente e paziente in politiche attive per l’occupazione – perché è il lavoro che crea economia e non il contrario – ha consistenti effetti virtuosi sulla crescita dell’intero Sistema-Paese. Valorizzare il capitale umano significa, non solo promuovere una crescita del PIL, ma anche contribuire alla tenuta della coesione sociale nel nostro Paese.
Da un confronto con altre realtà europee come Germania, Francia e Paesi Scandinavi, si osserva che i Paesi che hanno investito di più nelle politiche attive, di formazione e di aggiornamento professionale, hanno reagito meglio alla complessità di mercato e trasformato la difficoltà all’accesso al lavoro in un momento di crisi come il principale fattore di eguaglianza sociale. Occorre, pertanto, adottare anche in Italia misure urgenti e concrete per contrastare la disoccupazione, attraverso programmi di politiche attive che si leghino concretamente alle esigenze delle imprese, ridefinendo in ottica imprenditoriale i servizi pubblici dedicati alll’incontro tra domanda ed offerta di lavoro e rimodulando la formazione professionale dedicata alle persone in cerca di occupazione.
La parabola recessiva dalla crisi ad oggi dimostra una bassa propensione ad investire sui servizi per il lavoro, sulla formazione distribuita per allineare le competenze a quanto richiede oggi un Lavoro 4.0, sulle politiche di inclusione per tutto il capitale umano italiano oggi inutilizzato.
L’obiettivo è rimettere al centro delle politiche di crescita dell’occupazione lo sviluppo del lavoro realizzando strategie d’intervento moderne in grado di affrontare le sfide del nuovo mercato del lavoro e che interessino tutte le fasce della popolazione, dai giovani NEET, ai disoccupati di lunga durata, dagli scoraggiati – in gran parte donne residenti nel Sud – agli over 50. Senza dimenticare che la mancata valorizzazione delle risorse umane costituisce un fattore di forte criticità per la capacità di sviluppo del sistema sociale, politico ed economico del Paese, una grave perdita per la competitività e la coesione sociale. Rimbocchiamoci le maniche perché oggi tutti possiamo fare la differenza!
A cura di Domenico A. Modaffari ed Enrico Molinari Martinelli
Tratto da Uomo&Manager di Aprile 2018