Il nuovo volto del Capitalismo e l’Economia delle Reti

Rete

La supremazia del capitalismo cognitivo è inarrestabile. Esso rappresenta l’autentica rivoluzione del nuovo millennio e delle nuove forme di produzione globale, è l’affermazione e la consacrazione di quella che gli anglosassoni definiscono “knowledge economy” e “knowledge society”.

A muovere tutto ci pensa la conoscenza

Il capitalismo moderno, centrato sulla valorizzazione di grandi masse di capitale materiale è sostituito sempre più rapidamente ed efficacemente da un capitalismo di nuovo conio incentrato sulla valorizzazione del capitale immateriale detto “capitale cognitivo” e in relazione al quale stanno tramontando le unità di misure classiche applicabili al lavoro materiale, i vecchi paradigmi di articolazione dell’organizzazione sociale nonché gli schemi economici tradizionalmente adottati.

La conoscenza è considerata come la forza produttiva principale, il grande motore della nuova economia delle reti, il meccanismo indispensabile per innescare quella “distruzione creatrice” nell’economia di cui parlava l’economista austriaco Joseph Schumpeter, utile a creare le condizioni ottimali per la crescita, lo sviluppo e l’innovazione. La conoscenza ha una caratteristica essenziale, ossia la sua capacità di replicazione, di propagazione, di condivisione del suo valore a costo zero attraverso la rete che organizza i circuiti di apprendimento, i canali di diffusione ed i processi di sperimentazione del sapere. Rete e conoscenza costituiscono un connubio ideale che permette la massimizzazione degli sforzi congiunti (rectius profitti), sfruttando economie di condivisione (economies of sharing), sinergie produttive, piattaforme collaborative.

Un nuovo modo di pensare

Le regole che presidiano l’attuale fase economica e i processi di regolazione del nuovo capitalismo cognitivo sono alla base del nuovo corso della civiltà del lavoro, ricco di opportunità e benessere. In questa dorsale si innesta il sapere con la sua capacità di trasformare l’organizzazione del lavoro, i processi produttivi, i mercati esistenti e quelli che verranno alla luce, i modelli di sviluppo.

Nei prossimi decenni la competizione globale sarà incentrata sulla capacità di attrarre capitale umano e imprese innovative, sulla flessibilità nella gestione delle reti, sullo sviluppo delle infrastrutture digitali e, soprattutto, sulla dislocazione del capitale umano. Come ci ricorda Enrico Moretti nel suo saggio “La nuova geografia del lavoro” il numero e la forza degli hub dell’innovazione di un Paese ne decreteranno la fortuna o il declino. Non saranno i territori dove si fabbricano materialmente le cose o si erogano i servizi ad essere ricchi bensì i luoghi popolati da laboratori interconnessi, automatizzati e creativi, i quali diventeranno le nuove fabbriche del futuro.

Parliamo dei settori dell’ICT, dello sviluppo delle comunità intelligenti (smart cities & communities) dei processi legati all’innovazione sociale (social innovation), della robotica, dell’Internet of Things, dei servizi alla persona. Seguendo il ragionamento di Enrico Moretti, rispetto all’attuale contesto nazionale.“L’Italia offre uno splendido stile di vita, ma tra i Paesi sviluppati è uno di quelli con il più basso livello di penetrazione del settore dell’innovazione. Il problema dell’Italia non è l’offerta di talento creativo – non c’è sicuramente penuria di giovani laureati intelligenti, ambiziosi e creativi – ma è la domanda di talento creativo. Milioni di giovani italiani sono disoccupati o sottoccupati essenzialmente per l’incapacità del sistema economico di attirare un settore dell’innovazione dinamico”.

I propulsori della ricchezza

Mercato del lavoro efficiente, flessibile e meritocratico, sistemi del capitale del rischio pronti a finanziare ogni imprenditore innovativo e creativo, realizzazione delle autostrade digitali e delle infrastrutture materiali, massicci investimenti pubblici e privati nell’istruzione superiore e nella ricerca sono gli ingredienti essenziali e i propulsori necessari per generare innovazione e ricchezza. Le città dell’innovazione, gli hub delle start up, i centri accademici, gli incubatori universitari, gli enti di ricerca, i parchi scientifici e tecnologici per citarne solo alcuni, costituiscono degli spazi vivaci, interessanti e culturalmente aperti, che creano economie di scala, ampliano le offerte di lavoro e generano opportunità concrete nella condivisione di idee, progetti, azioni. In definitiva sono poli d’attrazione per i migliori talenti e, in molti casi, sono fattori vincenti di un ecosistema che ha un forte impatto sulla società, sull’economia, sulla competitività e spesso ne assicura le fortune e i destini di un Paese.

A cura di Domenico Annunziato Modaffari

 

Tratto da Uomo&Manager di Marzo 2017