L’approccio al lavoro della Generazione Z, fra desideri e aspettative
Spesso, in modo molto approssimativo, l’approccio al lavoro della Generazione Z non viene visto di buon occhi e qualche volta viene definito ‘sfaticato’. Ma è davvero così? Le mele marce ci sono sempre, ma la complessità e l’incertezza che aleggia oggi nel mondo del lavoro di certo non aiuta i ragazzi a trovare una propria collocazione professionale.
Il modo di approcciarsi al lavoro della Generazione Z è molto complesso e a confermarlo arrivano anche i risultati di uno studio realizzato da Zelo, società di consulenza che realizza progetti di valore dedicati alla Generazione Z, secondo il quale la volontà dei lavoratori più giovani è semplicemente quella di trovare un impiego che possa garantire loro un futuro roseo.
I desideri della Generazione Z
Cosa desiderano i ragazzi nati tra il 1997 e il 2012? Multinazionali e startup sono infatti sempre più alla ricerca di giovani talenti, ma quanto li conoscono davvero? Sono domande che Zelo ha posto ad un campione di 5.915 GenZ. Le loro risposte? Eccole…
- il 41% dei rappresentanti della GenZ preferirebbe lavorare in una grande azienda perché rassicurato dalla sua stabilità anche se, nel profondo, le multinazionali piene di superuomini e superdonne “sempre così performanti” intimoriscono i ragazzi;
- vogliono esser a capo di un’azienda tutta loro in cui sentirsi protagonisti del proprio sogno, ma quando si tratta di doversi prendere le responsabilità, circa il 60%, afferma di volerle condividere con il team o di non volersele “accollare” perché generano ansia;
- vivono nella costante paura del fallimento e del timore del giudizio perché, per l’effetto dei social, sono cresciuti in costante confronto non solo con gli altri, ma con un mondo intero. Proprio per questo sono abituati alla gratificazione immediata e per loro i feedback non sono un plus, ma l’ossessione che li guida nei progetti e nelle loro giornate lavorative. Per il 38%, infatti, il feedback deve avere con sé un suggerimento o esempio concreto, “così capiscono” e un riscontro negativo porta il 37% a far salire l’ansia e a far dubitare di sé stessi;
- hanno bisogno di leader che sappiano parlare, motivare, spiegare bene e che “parlino bene di loro” con gli altri, non stupisce quindi che circa il 60% afferma di sentirsi gratificato se il proprio capo parla bene di loro, li sponsorizza o ricevono complimenti dai colleghi vs 37% a cui basterebbe un “semplice” premio in denaro;
- per il 42% il lavoro ideale non è scandito da regole, ma da obiettivi chiari e perseguibili, meglio ancora se ad accoglierli in un’azienda, nelle prime fasi di onboarding, c’è un tutor dedicato (49%): un coach per la vita da adulti;
- esprimono esplicitamente il bisogno di relazioni umane, infatti, anche sul posto di lavoro, sono alla ricerca di nuovi amici con cui magari fare i Be Real durante la giornata e con cui andare agli eventi post lavoro per placare la FOMO. Il 30% ha infatti affermato di avere un rapporto di amicizia con i propri colleghi;
- lo smart working? Un falso mito per attrarre la GenZ: il 39% infatti non lo ritiene fondamentale se in ballo c’è un lavoro che gli piace fare. Fa invece riflettere un 14% che pensa che il lavoro da remoto sia “indispensabile” per limitare quell’ansia sociale che questa generazione vive costantemente, perché si sente sempre sotto il giudizio e avverte la pressione dei ruoli affidatigli e che non vuole interpretare.
Occorre riconsiderare le convinzioni
Alla luce di queste informazioni, scaturite dallo studio, bisogna necessariamente ripensare alla considerazione che si ha della GenZ. La “recruting journey” va quindi ripensata da parte dei manager HR: dal linguaggio, ai cerimoniali, all’accoglienza, ai job title, all’iter di selezione e a tutto quello che si fa per “sembrare seri” oggi non convince più, né affascina. Il fattore “amichevole” è tornato ad essere importante per il 59% degli intervistati, mentre il 21% vorrebbe che l’azienda offrisse loro una piattaforma per prepararsi e aiutarli a “fare bella figura”. Questo perché l’incertezza regna sovrana: i giovani cercano risposte sui video tutorial sui social network: da “come affrontare un colloquio” a “come vestirsi per un colloquio di lavoro”.
Altro aspetto importante è che la Generazione Z, come detto in precedenza, vuole certezze e la ricerca di recensioni online sulle aziende è fondamentale. Il 30% del campione di ragazzi ascoltati da Zelo ha affermato di scegliere un’azienda in base alle recensioni dei dipendenti che legge online.
“La GenZ ci continua a sorprendere: vogliono realizzarsi, veder riconosciuto il proprio talento e sentirsi importanti tra i grandi, ma soffrono le regole e hanno un’allergia generazionale alle procedure e alle gerarchie. È questo ciò che spesso li fa etichettare come sfaticati, ma c’è bisogno che gli adulti cambino il proprio punto di vista: non si tratta di non voler lavorare, ma di avere una più spiccata sensibilità che rende i ragazzi bisognosi di essere riconosciuti per la loro unicità anche sul lavoro. I GenZ non si adattano a modelli standardizzati ma desiderano essere ascoltati e ricevere dei feedback chiari che dimostrino attenzione per la loro crescita professionale”, ha dichiarato Cecilia Nostro, Founder di Zelo. “Lavorando al fianco di HR e CEO abbiamo rilevato come sia fondamentale indagare con sincerità questa generazione così complicata e sfaccettata per risolvere il profondo fraintendimento che impedisce oggi di valorizzarne al meglio le skill. È un punto fondamentale per non avere un gap di professionisti nei prossimi anni e aiutare le aziende a costruire un mondo a prova di GenZ”.