Lavoro e longevità: 6 aziende su 10 non sono in grado di affrontare l’aumento dell’età media dei lavoratori
L’Italia è un Paese in cui ci sono sempre meno giovani. Secondo dati ISTAT del 2023, nei prossimi 20 anni 1 italiano su 3 avrà più di 65 anni e già oggi quasi 1 lavoratore su 5 ha più di 55 anni (elaborazione su dati INPS). Ma, a quanto pare, le aziende sembrano non essere pronte ad affrontare questa situazione. La conferma arriva anche da una ricerca intitolata “La sfida della Longevity”, realizzata da INTOO e WYSER, entrambe realtà di Gi Group Holding.
Per il 62% dei manager interpellati durante lo studio, le aziende non sono pronte ad affrontare le situazioni derivanti dall’impiego di una forza lavoro matura. E questa convinzione è confermata anche dai lavoratori che, intervistati per la realizzazione della ricerca, affermano (oltre 1 su 3) che che la propria azienda non ponga sufficiente attenzione alle necessità dei dipendenti che sono più avanti negli anni. Le principali richieste? Maggiore equilibrio tra vita e lavoro, ritmi sostenibili, stabilità e sicurezza, sarebbero le richieste più comuni per questo tipo di lavoratori.
Eppure le iniziative non mancano, il problema è la disinformazione. Secondo la ricerca, solo il 20% dei lavoratori over 50 è a conoscenza di iniziative aziendali a loro dedicate, e appena il 12% vi ha preso parte. Quando previste, le misure puntano soprattutto sul prepensionamento, segnalato dal 50% dei manager. Accanto a questo, si registrano interventi di formazione, flessibilità oraria, mappatura delle competenze e benessere organizzativo.
“La longevità è un concetto che riguarda tutte le generazioni. Con l’aumento della vita media e il progressivo innalzamento dell’età pensionabile assistiamo alla compresenza in azienda di 4 se non 5 generazioni, questo comporta ridisegnare le politiche gestionali e di sviluppo, dare una lettura più ampia al concetto di wellbeing, interpretare il dialogo tra le generazioni in senso esteso, senza cadere negli stereotipi se vogliamo garantire la sostenibilità complessiva del business”, afferma Alessandra Giordano, Direttrice Employability e Career Development di INTOO (Gi Group Holding). “Affrontare la longevità in modo strategico, con un approccio centrato sulle persone e che abbracci l’intera popolazione aziendale, significa creare le condizioni affinché le competenze strategiche possano essere trattenute, trasferite e fatte evolvere, mantenere alto l’ingaggio dei singoli indipendentemente dall’anzianità e quindi rendere l’organizzazione sostenibile e competitiva. Finora abbiamo visto solo iniziative sporadiche, mirate a singoli gruppi. Serve invece una prospettiva più larga e integrata che possa rispondere ai bisogni e alle specificità di ognuno e allo stesso tempo metta le persone in condizioni di lavorare insieme per uno stesso obiettivo con un approccio di continuo scambio e integrazione. Questa è la vera sfida per le aziende, che riguarda non solo le risorse umane, ma anche il top management”.
Anzianità lavorativa: non dovrebbe essere un problema
Secondo lo studio realizzato da INTOO e WYSER il 69% dei lavoratori senior e il 78% dei manager confermano la presenza di discriminazioni legate all’età nei luoghi di lavoro e questo è un problema che va necessariamente affrontato. 1 su 5 si è sentito escluso o penalizzato, mentre addirittura 8 manager su 10 ammettono che l’età rappresenta un ostacolo nella selezione di figure manageriali.
In contrapposizione, troviamo gli over 50 secondo i quali l’età deve essere considerata un valore aggiunto, in virtù dell’esperienza acquisita dal lavoratore o dal manager.
“L’attenzione del dibattito pubblico e aziendale è oggi concentrata sulle due grandi transizioni – quella digitale e quella ambientale – mentre si tende a sottovalutare una trasformazione strutturale ben più profonda: l’invecchiamento della popolazione e l’impatto della longevità sul lavoro e sulla società”, commenta Marinella Sartori, Amministratrice Delegata di Wyser. “Come evidenziato dallo studio condotto e dal confronto quotidiano con manager e dirigenti, il livello di consapevolezza e maturità organizzativa non è ancora tale da tradursi in politiche e iniziative concrete in grado di affrontare questa evoluzione. Il ritardo si manifesta non solo nella gestione delle persone e nei percorsi di sviluppo, ma anche su temi strategici come il passaggio generazionale, che coinvolge la maggior parte del tessuto produttivo italiano – basti pensare che un imprenditore su due ha oggi più di cinquant’anni. La longevità impone una rilettura della leadership e della governance in chiave intergenerazionale, più aperta e adattiva, capace di accompagnare il cambiamento continuo ripensando modelli di business e orizzonti industriali. In questo scenario, il valore della seniority rappresenta un presidio fondamentale. Lo rileviamo quotidianamente, le aziende continuano ad avere bisogno di figure in grado di offrire visione, esperienza e una capacità decisionale maturata nella gestione della complessità. Integrare queste competenze con lo slancio dell’innovazione è una delle sfide chiave per garantire equilibrio, continuità e competitività”.
Nemmeno la tecnologia rappresenta un problema. Infatti, se è vero che ai manager più giovani viene riconosciuto un vantaggio competitivo in ambito tecnologico, dallo studio emerge la tecnologia 7 over 50 su 10 la considerano la tecnologia una risorsa fondamentale e per questo il 76% di loro chiede di poter intraprendere percorsi di formazione per restare aggiornato. Anche l’intelligenza artificiale viene percepita come un’opportunità, sia dai manager (69%) sia dalla metà dei lavoratori senior.
Malgrado le difficoltà e le problematiche di cui sopra, il 65% dei lavoratori over 50 si dice soddisfatto del proprio lavoro, in particolare per l’autonomia e la responsabilità acquisita nel tempo. Tuttavia, c’è un 36% di loro aperto a nuove opportunità, e tra i manager di alto livello, il 13% è già attivamente alla ricerca di un nuovo impiego.
In generale, guardando agli sviluppi futuri della situazione, circa la metà degli over 50 si immagina ancora nella propria azienda, mentre il 30% spera di andare in pensione o accedere a politiche di prepensionamento.