Le sfumature di… un manager

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Sono parecchie le persone portate ad idealizzare la figura del manager come quella del miliardario Christian Gray di “Cinquanta Sfumature di Grigio”, brillante capitano d’industria che apparentemente ha tutto ciò che un uomo possa desiderare. Una posizione di prestigio, un ufficio favoloso, una cabina armadio divisa per colori, cassetti contenenti orologi di marca. E ancora, un personalissimo garage degno di un autosalone. Una famiglia benestante che gli è vicina, ma che lui riesce a tenere a debita distanza e poi… come sappiamo tutti, le sue passioni, a dir poco bislacche…

Christian Gray ha tutto quello di cui si ha bisogno. Ed i manager dei nostri tempi sono così. Vestono solo nei negozi di grido e preferiscono il “su misura”, adorano le scarpe lucide e gli orologi costosi al polso. Amano partire per un week end folle, senza contare i soldi nel portafoglio. È la vita perfetta, giusto? Perché non viene scelta da più persone allora? E non ci nascondiamo dietro il luogo comune della mancanza di opportunità, perché le grandi aziende sono alla costante ricerca di manager capaci e competenti. Problem solving, conoscenza delle lingue, cultura elevata, ma soprattutto un’altissima capacità di sopportare lo stress, vero nemico di chi lavora e della produttività.

La verità è che in pochi possono fare questo lavoro, perché in pochi sono in grado di resistere a carichi di pressione così elevati. Li vediamo sorridenti e fiduciosi ai pranzi di affari i nostri amici manager e sembra che per loro la vita scorra senza problemi, con un’infinità di persone al proprio fianco pronte ad approfittare della loro generosità.

Ma poi li rincontriamo al termine di riunioni andate male o di incontri di lavoro culminati con una lite. E li vediamo in disparte, tristi, perché al di là delle apparenze la vita del manager è molto spesso caratterizzata dalla solitudine, quantomeno interiore. Sono loro che devono risolvere i problemi anche quando le soluzioni spesso non ci sono, sono loro che si assumono la responsabilità del crack di un progetto o di un’operazione, anche se molte volte questi sono figli di errori commessi da altri.

Li incrocio spesso negli aeroporti, mentre con lo sguardo perso nel vuoto, scorrono la timeline del loro social network alla ricerca di un messaggio, forse privato, chissà, attraverso cui si chieda loro un “come stai” disinteressato. E lo fanno quasi convulsamente, così come i fumatori accaniti fanno con le sigarette. Il manager è molto spesso un uomo solo e deve essere così perché, se chiamato la vigilia di Natale per una riunione straordinaria, deve essere pronto e non deve avere vincoli che lo leghino. Il suo trolley non finisce mai in soffitta o in cantina, è sempre a fianco dell’armadio, pronto per il prossimo viaggio improvviso. In barba alla cena con la mamma promessa venti giorni prima o alla passeggiata romantica con quella donna che “forse è quella giusta”.

Se si osserva con attenzione, la vita del manager è una sorta di limbo, fatto di tante sfumature, nel quale tutto funziona finché… tutto funziona nel suo ambito lavorativo. Se salta qualcosa lì, si ritrova senza punti di riferimento e, così come vediamo in alcuni film, improvvisamente tutto tende a sparire, ivi compresi gli approfittatori di cui sopra.

Il manager è un uomo coraggioso perché affronta la vita senza paura e con onore. È uno che ci prova e che crede nelle proprie doti. Ma è pur sempre un essere umano e, statene certi voi superficialoni, la vita anche per lui, non è una passeggiata di salute.

 

 

 

(Tratto da Uomo&Manager di Aprile 2015; illustrazione di Francesca Ceccarelli)