Lo smart working può essere un modello anche per il futuro?
A oltre un mese dallo stato di emergenza causato dal Coronavirus e la conseguente necessità di ricorrere allo smart working per lavorare, ci si comincia a porre qualche domanda sul futuro. Lo smart working potrà essere usato maggiormente a prescindere dall’emergenza?
InfoJobs, piattaforma numero 1 in Italia per la ricerca di lavoro online, ha presentato i risultati di un’indagine che mette per la prima volta a confronto aziende e lavoratori sul tema smart working, al fine di capire come gli italiani stiano vivendo l’approccio al lavoro agile e quale possa essere la sua futura applicazione sul mercato del lavoro di domani.
I risultati dello studio di InfoJobs sullo smart working
Dai dati emersi dallo studio risulta che il Paese ha risposto all’emergenza utilizzando in maniera massiccia lo smart working. Il 72% delle aziende ha messo a disposizione in tempi brevi mezzi e strumenti per permettere ai collaboratori di proseguire il lavoro da remoto.
Tuttavia, è chiaro non tutte le tipologie di business o non tutte le funzioni possono essere svolte in smart working: secondo InfoJobs i lavoratori italiani che lavorano in smart working sono il 15%. La restante quota di lavoratori, invece,sembra attualmente a casa senza reddito (45% dei rispondenti, percentuale che sale al 50% per le donne), in ferie o in congedo (25%) mentre il 13% si reca ancora sul luogo di lavoro, senza nessuna modifica alle modalità di prestazione del servizio.
Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs afferma: “Con la nostra nuova indagine vogliamo raccontare come il Paese stia affrontando il lavoro in questo momento complesso, mettendo a confronto il punto di vista dei lavoratori e quello delle aziende. Lo smart working è stato ben accolto in generale, come strumento per garantire operatività e reddito preservando salute e sicurezza, e la sua adozione ha subito una crescita esponenziale: per gran parte delle nostre aziende e lavoratori questa emergenza è stata l’occasione per attivare il lavoro da remoto per la prima volta in assoluto”.
Sempre secondo la ricerca, il 56% delle aziende che hanno attivato lo smart working dichiara di applicarlo per la prima volta, mentre il 29% l’ha esteso a più figure o su più giorni. Percentuali ancora più polarizzate sui lavoratori, dove il 79% afferma di adottarlo per la prima volta, mentre per il 14,5% sono solo cambiate le modalità di fruizione e per il 6,5% non c’è stato alcun cambiamento rispetto a prima.
Le difficoltà dello smart working
Ma come si stanno trovando lavoratori e aziende con questo sistema di lavoro? Lo studio mette in evidenza che il 64,5% delle aziende ha dichiarato che i dipendenti hanno apprezzato questa decisione (voluta o dovuta in base alle circostanze legislative) che non ha avuto contraccolpi sulla produttività (39%), o ne ha avuti ma in maniera limitata (25,5%). Le difficoltà comunque non mancano e il 19% delle aziende sostiene che lo smart working non stia funzionando, complici la struttura o il business che mal si sposano con il lavoro da remoto. Le maggiori criticità sono legate soprattutto a problemi di tipo organizzativo (44%) per mancanza di supervisione e controllo sul lavoro del personale, e relazionale (42%) perché manca il confronto quotidiano e il lavorare fianco a fianco. Solo il 14% delle aziende dichiara problemi legati alla tecnologia, rilevante soprattutto per quelle aziende che hanno risposto all’emergenza ma non erano preparate a gestirla a livello di strumenti e competenze interne.
E i lavoratori che ne pensano? Il 38% di essi, intervistato da InfoJobs, si dichiara fortunato di poter evitare gli spostamenti in questo momento, mentre il 27% apprezza le possibilità date dalla tecnologia, che mette a disposizione un ufficio “virtuale” dove è possibile continuare a lavorare come prima. Solo il 7% dice di essere meno produttivo soprattutto a causa degli impegni familiari da gestire in contemporanea, percentuale che sale al 33% per le donne con figli conviventi.
Il 17% degli stessi apprezza la possibilità di gestire insieme esigenze personali e lavorative, con una percentuale che sale al 30% per le donne con figli. Gli italiani che si sono inoltre trovati a dover far fronte alla creazione di spazi di lavoro in casa, evidenziano che il tempo risparmiato per gli spostamenti da casa all’ufficio (49%) e gli orari flessibili (19,5%) è certamente un aspetto positivo. E che dire delle distrazioni fra le postazioni di lavoro? Un pensiero in meno nel caso dell’home office per l’11% dei lavoratori!
Ma non è tutto oro quel che luccica, infatti alcuni lamentano l’assenza di situazioni quali la socialità del luogo di lavoro e il confronto quotidiano con i colleghi (parimerito al 27%). Seguono sorprendentemente aspetti all’apparenza secondari, come la comodità della propria postazione (11%) o il piacere di prepararsi alla giornata con outfit e make-up (10%).
Smart working, soluzione anche per il futuro?
“Su ciò che avverrà una volta superata l’emergenza sanitaria, le aziende sono caute a parlare di rivoluzione”, chiude Filippo Saini. “Anche i lavoratori sembrano apprezzare le potenzialità del lavoro da remoto, ma sono ben lontani dall’augurarsi che possa essere la modalità esclusiva e prioritaria di domani. In generale, dalla nostra indagine emerge un’Italia molto pragmatica e realista, che distingue le misure eccezionali dai propri desideri e dalla speranza per la nuova normalità di domani”.
Per il 30% delle aziende non ci saranno cambiamenti delle modalità di lavoro rispetto al business pre-COVID-19, mentre il 28% dovrà valutare gli sviluppi legislativi per implementare a regime lo smart working e il 24% lo abiliterà ma solo per una parte dei dipendenti.
Concordi su un approccio prudente anche i lavoratori, il 71% vorrebbe il lavoro agile 1 o 2 giorni a settimana (89% per le donne con figli) mentre solo il 16% auspica un full time smart. Il 13% non ha invece dubbi: è decisamente meglio l’ufficio!