Maurizio Marinella: “Il nostro segreto? Adeguarci ai tempi senza rinunciare allo stile”
Un nome che è sinonimo di eleganza, professionalità e tradizione sartoriale. E. Marinella compie 105 anni, un traguardo non certo consueto per un’azienda, ma che è indice di grande affidabilità e competenza in un settore sempre più competitivo.
Intervista a Maurizio Marinella
Maurizio Marinella è la terza generazione di imprenditori della famiglia che guida l’azienda e con lui abbiamo voluto tracciare un bilancio di questi 105 anni di storia, ma anche analizzare il presente di un brand decisamente esclusivo che guarda sempre avanti.
E. Marinella: 105 anni e… non sentirli. Oppure sì?
La nostra storia ci accompagna e fa parte di noi. I 105 anni si sentono ma non come un peso. Ritengo che per noi siano un plus. Portano con sé valori, tradizioni, l’amore per l’eleganza e la cura del dettaglio. Tutto quello che siamo oggi è il risultato di un secolo di impegno di tre generazioni a cui oggi si è aggiunta una quarta. Ricordarsi sempre da dove siamo partiti, come le cose sono iniziate e perché, con quale idea, ci ha aiutato ad affrontare i cambiamenti del tempo, senza mai snaturarci. Non abbiamo mai seguito i trend della moda subendoli in modo impersonale, li abbiamo metabolizzati e resi nostri, cercando di esprimere sempre il nostro messaggio e il nostro stile in ogni tempo. La regola fondamentale che abbiamo seguito è sempre stata quella di non seguire gli eccessi, di essere moderati e sobri, mai sopra le righe. Questi 105 anni ci sono stati utili anche per portare avanti e migliorare la nostra completa attenzione al cliente, con il quale si crea un profondo legame di fiducia, che non abbiamo mai tradito. Siamo sempre pronti ad accogliere i clienti e a rispondere alle loro esigenze, così come siamo sempre presenti anche per una semplice chiacchiera e un buon caffè insieme. Il cliente da noi non si sente mai obbligato all’acquisto.
La vostra è una storia davvero affascinante. Quali sono stati i momenti salienti?
Nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, mio nonno, Don Eugenio Marinella decide di aprire un piccolo negozio di 20mq in Piazza Vittoria sull’elegante Riviera di Chiaia di Napoli, dove passeggiava l’alta società napoletana. Dopo aver effettuato i lavori di ristrutturazione e acquisito due atelier, uno per la fabbricazione di camicie e un altro più piccolo, per le cravatte, mio nonno intraprese il suo primo viaggio a Londra, per incontrarvi i futuri fornitori. Il negozio diventa presto un piccolo angolo di Inghilterra a Napoli. In un’epoca in cui lo stile “inglese” è molto di moda, Marinella è il solo a proporre, a Napoli, una vasta gamma di prodotti esclusivi provenienti da Londra. All’inizio, l’attività principale della bottega non è la cravatta ma la camicia. Le cravatte, sono realizzate esclusivamente in sette pieghe, dove il quadrato è piegato sette volte verso l’interno così da dare alla cravatta una consistenza incomparabile. È solo molto dopo che fa la sua comparsa la cravatta attuale con la struttura interna.
Il negozio è passato attraverso avvenimenti storici importanti che hanno cambiato anche il corso della sua storia: le due guerre mondiali, il declino dell’antica nobiltà e la comparsa della nuova borghesia con l’avvento dei prodotti americani che portano sostanziali cambiamenti della moda. La seconda generazione è rappresentata da mio padre Luigi, che succede nella conduzione del negozio e porta avanti con grande determinazione la produzione e le scelte del padre, mantenendo alti il nome e la reputazione della casa Marinella. La vera svolta si ha, però, negli anni Ottanta, quando Francesco Cossiga, allora Presidente della Repubblica e amico di famiglia, diventa un vero e proprio ambasciatore del marchio, prendendo l’abitudine di portare in dono ai capi di stato, nelle loro visite ufficiali, una scatola contenente cinque cravatte Marinella. Il marchio comincia così a fare il giro del mondo. Il G7 organizzato a Napoli nel 1994 spalanca definitivamente alla piccola ditta napoletana le porte della cerchia molto esclusiva di fornitori dei grandi del mondo: gli organizzatori decidono infatti di offrire a tutti i capi di stato presenti, una scatola contenente sei cravatte Marinella, portando un’enorme pubblicità al marchio. Io rappresento la terza generazione della famiglia. Oggi siamo riusciti ad affermare il marchio all’estero, dagli Stati Uniti al Giappone, mantenendo una produzione che conserva la scrupolosa attenzione alla qualità delle materie prime e la curatissima fattura ancora oggi rigorosamente artigianale, per le nostre cravatte napoletane ma anche “very british”. La capacità della mia famiglia di superare epoche storiche differenti, mantenendo una coerenza con i valori di qualità ed eleganza, è frutto di scelte imprenditoriali equilibrate e di grande impegno e sacrificio quotidiano. Lo sguardo rivolto al futuro è stato sempre accompagnato da azioni imprenditoriali ponderate e su un approccio conservativo che non significa, però, chiusura. Oggi accanto a me c’è Alessandro, mio figlio e quarta generazione della famiglia, che si sta impegnando per portare avanti la nostra tradizione sartoriale e la filosofia Marinella.
Le vostre cravatte sono famose in tutto il mondo. Cosa vi differenzia dagli altri produttori?
La E. Marinella ha conservato una scrupolosa attenzione alla qualità delle materie prime e una curatissima fattura ancora oggi rigorosamente artigianale. Chi visita la nostra produzione, non troverà alcuna macchina industriale, ma semplicemente la maestria, l’abilità delle nostre maestre sarte. Abbiamo tenuto fede a quanto da sempre proposto, la stampa della seta in Inghilterra, fatta secondo metodi tradizionali, unita all’artigianalità napoletana.
Come si guida, dal punto di vista manageriale, un’azienda ultracentenaria?
Il mio viaggio nell’imprenditoria affonda le radici nel 1914. Mio nonno fondò l’azienda in quell’anno e io ho sempre respirato l’aria di questo posto. La nostra storia nasce da una piccola bottega artigianale e si evolve fino ad oggi quando, con fortuna, possiamo definirci un marchio internazionale, simbolo della tradizione sartoriale e dello stile italiano nel mondo, che ha mantenuto inalterata la tradizione artigianale e la scrupolosa attenzione alla qualità. Le dico con grande sincerità che ho portato avanti questa azienda come parte integrante della famiglia e come in una famiglia non sempre le cose sono semplici. Certi giorni sono più facili di altri. Ma l’unione, il legame, la capacità di tutti di navigare nella stessa direzione è un valore aggiunto. Tutti ci sentiamo parte di una grande storia e di come dico io sempre, di un miracolo.
Si sente una sorta di responsabilità ad essere al timone di un’azienda come la vostra?
Affrontare ogni giorno con un peso di 100 anni di storia non è facile. Sento forte la responsabilità quotidiana di onorare il mio passato di rispettare il lavoro delle due generazioni precedenti, grazie alle quali ho potuto lavorare e crescere. Sento una responsabilità verso i miei clienti ai quali devo lealtà e rispetto e che non possono essere traditi. Sento una responsabilità forte nei confronti della mia città dove ho deciso di rimanere e lavorare perché sono convinto rappresenti un valore aggiunto. E non da ultimo sento una responsabilità nei confronti della quarta generazione, di mio figlio al quale spero di lasciare un qualcosa di bello, certamente impegnativo, di solido, in modo da fargli affrontare serenamente i prossimi 100 anni. Queste responsabilità non mi spaventano. Sono un uomo fiducioso e credo che con l’impegno e il lavoro quotidiano si possano raggiungere ottimi risultati e vivere una realtà ancora oggi fortunata.
Cosa bisogna fare per essere competitivi in un mondo come quello della moda sartoriale?
Abbiamo, fortunatamente, una richiesta elevata e siamo talvolta siamo costretti a dire qualche no. Proprio perché il nostro lavoro è artigianale e sartoriale, i nostri ritmi, per quanto elevati, non saranno mai quelli industriali. È una questione di scelte e noi scegliamo di essere coerenti con ciò che siamo sempre stati, non per arroganza, ma per rispetto a quanto promesso e proposta ai nostri clienti e per rispetto alla nostra storia. È chiaro che, seppur non snaturandoci, abbiamo dovuto cercare di adeguarci ai tempi che cambiano e anche alle velocità del commercio odierno.
Che rapporto si instaura con i vostri clienti?
Il piccolo negozio di Napoli è, oggi come ieri, il luogo di incontro dei nostri clienti, dalle persone eleganti di tutto il mondo ai clienti che ogni giorno ci vengono a fare visita. Non abbiamo mai voluto mutare il nostro nome in quello di un grande marchio. Siamo legati ad un’immagine di piccolo negozio che oggi, come nel 1914, propone prodotti di qualità in un ambiente discreto e conviviale, ma al contempo informale. Personalmente, ho imparato a saper coniugare lo spirito imprenditoriale con la disponibilità verso la clientela: nel periodo natalizio, per esempio, dove le code davanti al negozio sono interminabili, mi piace offrire sfogliatelle e caffè alle persone in attesa per farle pazientare. Da noi il cliente si deve sentire riconosciuto, accolto, seguito anche dopo la vendita. Deve sentirsi a casa e non deve mai percepire un obbligo per l’acquisto.
Cos’è per voi Napoli e che rapporto avete con la città?
Noi siamo estremamente legati al territorio e alla città di Napoli. Sono solito dire che io non sono nato a Napoli, ma a Piazza Vittoria, dove il negozio è ubicato e dove sono cresciuto. Credo che al di là delle difficoltà, il nostro essere napoletani ci ha dato una marcia in più e ci ha caratterizzato per tutta la nostra storia. La storia artigianale e sartoriale della nostra città ha contribuito allo spessore della nostra produzione e la nostra terra ci ha dato l’estro e il colore per rendere unico il nostro prodotto. Come dico sempre, però, non è facile restare a Napoli, ma è una promessa fatta a mio padre che mi disse “Maurizio dobbiamo far vedere che si possono fare cose buone partendo da Napoli, ma soprattutto restando a Napoli”. Ho sempre tenuto fede a questa promessa, mantenendo anche la produzione qui in città. Mi piace pensare di poter portare nel mondo una bella Napoli. Questo non vuol dire che è facile, ma spostarsi in città come Milano, Parigi o Londra, capitali della moda, avrebbe significato cambiare in qualche modo ciò che siamo, la nostra identità. Ritengo Napoli una città con una grande aspirazione internazionale. Abbiamo certamente tutti gli elementi per poter essere una città internazionale, ma con rammarico devo riconoscere che non sempre sappiamo valorizzare le risorse che abbiamo. Siamo stati molto affossati nel tempo da cattive gestioni della città, ma anche noi cittadini spesso non sappiamo rispettare la nostra città. Fortunatamente, oggi, c’è un’inversione di tendenza. Napoli è ritornata nella considerazione dei turisti e mi pare stia ben rispondendo alle loro richieste.
La cravatta per l’uomo moderno, ad oggi, cosa rappresenta?
La scelta della cravatta è una cosa che prescinde da una logica stretta, rappresenta più un’emozione. Io consiglio sempre di fare una scelta “di pancia” per la cravatta.
Se si tratta di una cerimonia in particolare, è opportuno prendere delle cravatte per cerimonia, tipo le blu e bianche, una sorta di passe-partout che garantiscono una eleganza sobria e senza tempo. Per le cravatte di tutti i giorni, direi che è sufficiente fare una scelta in armonia con l’abito e la camicia indossati e divertirsi magari un po’ sul colore e/o la fantasia, a seconda dell’umore. La cravatta per l’uomo è un accessorio che consente di definire il suo stile, esprimere la propria personalità. È uno dei pochi accessori con cui l’uomo può variare. Non sono, però, uno che crede che la cravatta vada sempre indossata. Ci sono sicuramente situazioni dove è quasi un obbligo, per dare valore e rispetto alle persone che si incontrano, alle istituzioni che si frequentano e ai luoghi, ma nel tempo libero anche io non la indosso. Anche io amo un abbigliamento casual/sportivo. Quello che vorrei far comprendere, anche ai giovani, è che indossare una cravatta non significa essere rigidi e old style, ma semplicemente completare il proprio abbigliamento in modo adeguato. Si può scegliere la cravatta che meglio esprime il proprio stile.
Che rapporto c’è tra l’uomo e la moda?
Certamente è un rapporto meno simbiotico di quello che è per la donna e anche l’offerta è, in un certo senso, meno ampia. Ma se parliamo di moda per l’uomo io penso allo stile, all’eleganza, a dei capi che non possono mancare nel guardaroba di un gentiluomo. Non sono conservativo, mi piace guardare le nuove proposte, i tempi e i gusti che cambiano, ma dico sempre che tutto va adattato al proprio modo di essere. La mia idea è sempre di non subire la moda ma, tramite essa, di essere protagonisti.
Oggi il vestire sartoriale è tornato in auge: quali sono i motivi?
Credo che il bello piaccia a tutti. Indossare un capo che si abbini perfettamente alla propria fisicità e al proprio stile, che risulti esteticamente impeccabile, faccia sentire bene tutti. Ci fa sentire comodi e pronti ad affrontare le differenti situazioni. Credo che il mondo della moda abbia avuto degli eccessi che sono stati poi mal interpretati dall’utente finale. Vedere jeans strappati quando si va a teatro non è una cosa bella. Ma questo ci riporta al discorso che facevo prima, ogni luogo o situazione merita il proprio adeguato abbigliamento.
Quali sono i vostri progetti per il prossimo futuro?
Siamo un’azienda artigianale e familiare, dobbiamo quindi, strutturarci sempre più e sempre meglio per poter affrontare il mercato odierno, ma senza cambiare ciò che siamo. Non è facile. Ci vuole tempo. I processi sono sicuramente più lenti che nelle grandi industrie del lusso. Dobbiamo consolidarci in alcuni mercati, che già ci danno già soddisfazioni. Le nostre scelte anche per l’estero però devono essere ben ponderate. Scegliamo, per cultura aziendale, di muoverci a piccoli passi, trovando le occasioni giuste, su misura per noi. Non abbiamo manie di grandezza, la cosa che per noi conta è lavorare e lavorare bene, dando una buona immagine di noi. Non rinunceremmo mai alla qualità del prodotto offerto per poter essere presenti sul mercato. Oggi ci siamo aperti all’e-commerce che per noi è qualcosa di assolutamente nuovo. L’abbiamo fatto in modo soffuso, non volendo comunque perdere il contatto umano e personale con i nostri clienti. Mi creda, non è facile mantenere un equilibrio.
Se dovesse immaginare la E. Marinella fra 10 anni, cosa le verrebbe in mente?
Dopo i primi cento anni il mio pensiero è stato di iniziare a lavorare per costruire i successivi 100. Vedo un’azienda in evoluzione, ma che porta avanti la sua filosofia e i suoi valori.Vedo mio figlio Alessandro, quarta generazione, che con il suo sguardo giovane e legato al mondo di oggi, darà ottimi spunti evolutivi all’azienda. Noi procediamo passo dopo passo, come abbiamo sempre fatto, con lo stesso impegno e lo stesso sacrificio. Fra dieci anni magari ci ritroveremo qui a tirare le somme. Io sono fiducioso.
Tratto da Uomo&Manager di Luglio/Agosto 2019