“Napoleone Il Comunicatore”: il best seller di Roberto Race dedicato ai manager
È uno dei best seller italiani dedicati ai manager, che prende ispirazione da un grande personaggio della storia e pur essendo uscito nel 2012 è in continua ristampa e nei prossimi giorni uscirà la versione in inglese. Parliamo del “Napoleone il comunicatore” di Roberto Race edito da Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi.
Roberto Race, è uno dei guru italiani della corporate strategy e relazioni pubbliche. Ha fondato The Ghost Team (http://www.theghostteam.com) il primo network internazionale di ghostwriter per imprenditori, manager, diplomatici, militari e politici, che oggi coinvolge più di quaranta professionisti nel mondo.
Da qualche anno, Roberto Race, ha lanciato in Italia la figura del direttore relazioni esterne e comunicazione/portavoce “in affitto” e lavora oggi con alcune delle più importanti aziende italiane. Il suo caso è stato raccontato dalla stampa come modello da seguire. Massimo Sideri, una delle migliori firme del giornalismo economico italiano, sul Corriere della Sera lo ha definito come colui che è stato capace di convertire, adattandolo al mondo del lavoro, il pensiero di Jeremy Rifkin nel suo bestseller “L’era dell’accesso”. È segretario generale del think thank Competere e fa parte della Ferpi e dell’Aspen Institute Italia come Former Aspen Junior Fellow. Con lui, abbiamo discusso del libro e della moderna comunicazione.
Come nasce questo libro?
La gestazione è stata lunga. Mi appassionava il personaggio di Napoleone perché lo sentivo straordinariamente moderno, malgrado i due secoli trascorsi. Ero tentato fin dall’inizio di sviluppare un’indagine sulla sua incredibile capacità di autorappresentazione, che finiva per colpire al cuore l’immaginario collettivo della sua epoca e che si è rivelata determinante anche per la percezione che di Bonaparte hanno avuto i posteri. Raccoglievo documenti, li approfondivo e mi accostavo alla materia abbozzando le prima riflessioni ma senza decidermi a completare l’opera, anche perché consapevole dell’enormità della pubblicistica che ruota intorno a questo personaggio. Devo ringraziare Luigi Mascilli Migliorini, autore di una delle più importanti biografie su Napoleone, per aver creduto in questo progetto fin dall’inizio, sei anni fa, ed averlo seguito e supportato nella sua evoluzione. Aver lavorato a queste pagine a più riprese mi ha d’altra parte permesso di rileggere e rielaborarle con il giusto distacco. A spingermi a varcare il guado è stato il fatto che, in fin dei conti, occuparmi del Bonaparte nella versione fuori dagli schemi che volevo far emergere significava conciliare due aspetti del mio vissuto, l’ammirazione per il personaggio storico che mi aveva colpito fin dall’infanzia e quelle grandi passioni che sono per me la comunicazione e il giornalismo.
Perché, anche se dal punto di vista della comunicazione, un ennesimo libro su Napoleone?
Perché il Napoleone comunicatore fa riflettere e può fornirci anche qualche prezioso insegnamento. Il sapiente utilizzo che fa dell’opinione pubblica, un concetto-categoria che, se non inventata, sicuramente si consolida con lui, dimostra che un leader può vendere la sua immagine, con gli strumenti e le opportunità consentite dalla sua epoca. Come ha bene sottolineato Mario Rodriguez, recentemente il ruolo dei moderni mezzi di comunicazione come la tv, internet e i social network, viene enfatizzato al punto da vederci l’origine del fenomeno del ‘marketing politico’. E’ un errore. Napoleone è stato un grande propagandista di se stesso senza aver bisogno di telegiornali o blog.
Generale, Imperatore, Comunicatore. Cos’altro?
Il Napoleone che racconto in questo volume fa pensare a quegli imprenditori e a quei manager che sanno motivare e coinvolgere i loro collaboratori rendendoli partecipi delle sfide che dovranno affrontare assieme. Quello che per Napoleone è il campo di battaglia per l’imprenditore e il manager sono la fabbrica ed il mercato dove solo chi sa cosa vuol dire essere in prima linea può dare gli ordini ed essere ascoltato. Proprio come tanti leader d’Impresa Napoleone sa che conta più essere autorevole che autoritario. Molti degli aneddoti rievocati nel volume confermano questa attitudine, in particolar modo nel rapporto che Bonaparte riusciva a instaurare con i suoi soldati.
Quindi Napoleone è sempre attuale?
Il fenomeno, lungi dall’essersi arrestato, a poco meno di duecento anni dalla sua caduta continua a vivere di una carica propulsiva inesauribile. Le battaglie più note di Napoleone, da Austerlitz a Waterloo, vengono «ri-giocate» da appassionati di tutto il mondo. I giocattoli ne riproducono il mito. Abbigliamento e arredamento hanno conosciuto mode ispirate al suo personaggio. Ancora oggi esiste un mercato napoleonico, un business con un giro d’affari a tanti zeri. Al di là delle profezie su se stesso fatte da Napoleone durante l’esilio a Sant’Elena, è innegabile che la sua opera abbia lasciato un segno nel tempo ben oltre quanto potessero immaginare i suoi avversari, alla fine vincitori. La loro, per certi versi, è stata una vittoria di Pirro. Non solo perché le idee liberali, le riforme legislative e amministrative, la creazione di nuovi modelli culturali borghesi hanno finito con il superare qualsiasi tentativo di restaurazione e ritorno al passato, ma soprattutto perché l’uomo ha qualcosa che supera le barriere del tempo.
Ma chi è quindi Napoleone?
Napoleone non è un eroe omerico, ma a suo modo è un archetipo pur essendo un protagonista della storia moderna. C’è qualcosa che lo fissa nel tempo, differenziandolo da altri grandi del suo tempo o di epoche successive. Delle due guerre mondiali che hanno segnato il secolo breve, non uno dei protagonisti può vantare la stessa celebrità. C’è il fenomeno Adolf Hitler, certo, ma in quel caso è la personificazione del male assoluto a inquietare e affascinare, la rappresentazione di quanto odio possa annidarsi nell’animo umano, di quanta violenza cerebrale prima ancora che corporea possa essere espressa e recepita dalle masse e da interi popoli. Napoleone è altra cosa. È un dittatore, forse, ma non è riducibile al tipo del tiranno. È figura complessa, piena di contraddizioni, erede a suo modo di valori rivoluzionari che, malgrado la sua realpolitik ante litteram, hanno ancora orecchie attente e cuori sensibili e appassionati pronti a recepirli in mezza Europa. Ma ciò non spiega ancora la sua longevità postuma. Era un grande generale, condottiero, stratega, vincitore di mille battaglie. Ma lo erano anche Giulio Cesare o Giuseppe Garibaldi. Dwight Eisenhower, eroe del D-Day, giunse alla presidenza degli Stati Uniti d’America più di centocinquanta anni dopo, ma non ha conosciuto un seguito di notorietà nemmeno lontanamente paragonabile a quello del miracolo N, pur essendo un vincente nato, vissuto e morto come tale, al contrario del nostro. Napoleone, certo, fu anche uomo di stato, promotore della codificazione moderna, amante dell’arte. Nella sua complessità c’è anche la tendenza della sua epoca al governo totalizzante, ad attivarne i processi storici e in qualche misura ad anticiparne i tempi.
Nel volume emerge la figura di un Napoleone guru della comunicazione. Perché?
Bonaparte non si limita a tastare gli umori della borghesia o del popolo, come pure facevano i sovrani del passato. Li soppesa e ne tiene conto, nella consapevolezza che la genesi moderna del suo potere è collegata al consenso di ampi strati sociali. Per Napoleone comunicare è una modalità di azione che consente di anticipare le mosse dell’avversario e sbaragliarne gli schieramenti. È altresì uno strumento di rappresentazione, con il quale si inscena un summit come si commissiona un quadro, il cui scopo ultimo è di rafforzare l’immagine vincente conquistata sui campi di battaglia e nell’azione riformatrice interna ed esterna ai confini della Francia. Napoleone comunica precorrendo mode, idee, vezzi, tendenze. E’ creatore del merchandising, ispiratore di sistemi di interazione bellica simili alla moderna comunicazione integrata aziendale, fondatore, censore e controllore di organi di stampa, inventore delle moderne veline attraverso i suoi compiacenti e compiaciuti bollettini militari. La sua N e l’aquila imperiale stemma dell’esercito lo consacrano anche come ispiratore dei brand moderni.
Napoleone quindi può essere anche un esempio?
Napoleone, a modo suo ed ovviamente entro i limiti di uno scenario attuale che vede come capisaldi i valori della democrazia e della libertà di espressione e partecipazione, è anche un esempio di quella classe dirigente che oggi manca nel mondo politico europeo. Napoleone sa bene che “non si può guidare un popolo senza indicargli un futuro”. Direi che dà dei punti a tanti leader o pseudo leader moderni anche sotto il profilo lessicale. Le massime napoleoniche, ad esempio, dimostrano spesso con quanta efficacia si può sintetizzare una lezione di vita, dare un’indicazione di percorso, formulare un giudizio su fatti e persone. Costituiscono un altro indicatore di una componente spesso mancata ai governanti italiani e anche a chi ha retto negli ultimi anni le sorti dell’Unione Europea: la capacità di decidere.
Cos’è per te la leadership?
La Leadership è la capacità di guardare lontano e indicare ai propri collaboratori la rotta. E come diceva Walter Lippman il solo test per capire davvero se qualcuno è stato un buon leader è vedere se ha lasciato dietro di sé, nelle altre persone, la convinzione e la determinazione per proseguire lungo il percorso tracciato. Se vogliamo tornare al libro Napoleone sa che conta più essere autorevole che autoritario. Napoleone, a modo suo e con tutte le contraddizioni e ambiguità con cui finisce per essere al tempo stesso «dittatore» e alfiere del nuovo diritto partorito dalla rivoluzione, è anche portatore di alcuni valori di cui si lamenta spesso la carenza nell’attuale classe dirigente e politico-istituzionale europea. Napoleone sa bene che «non si può guidare un popolo senza indicargli un futuro». Il Napoleone che racconto in questo volume fa pensare a quei leader che sanno motivare e coinvolgere i loro collaboratori rendendoli partecipi delle sfide, che dovranno affrontare assieme. Quello che per Napoleone è il campo di battaglia per l’imprenditore e il manager sono la fabbrica e il mercato, dove solo chi sa cosa vuol dire essere in prima linea può dare gli ordini ed essere ascoltato. Proprio come tanti leader, Napoleone sa che conta più essere autorevole che autoritario.
Perché un capo autorevole funziona di più di uno autoritario?
Viviamo in un mondo in cui non si può vivere di certezze. Le complessità che viviamo vanno affrontate con umiltà e analisi e per questo il leader che sa coinvolgere il suo team ha più possibilità del capo autoritario di raggiungere gli obiettivi che si prefigge.
A 37 anni ti sei già costruito un ragguardevole profilo professionale. Hai un segreto?
Bah. Non so se realmente sia ragguardevole ma certamente mi do da fare. Il segreto è quello di lavorare tanto, studiare tanto e non abbattersi quando ci sono le difficoltà che non mancano mai. Il mio segreto è che non avendo avuto mai una vita facile e non essendo mai stato paracadutato in un ruolo cerco ogni giorno di comprendere dove va il mondo per immaginare un’offerta di consulenza adatta al momento storico e al contesto.