Smart working, le aziende stanno valutando cosa fare in futuro
Lo smart working continua a far discutere eppure secondo uno studio diffuso da Aidp (Associzione Italiana per la Direzione del Personale), le aziende hanno ben chiaro cosa fare.
Le norme sullo smart working sono state prorogate fino a giugno prossimo, ma poi cosa accadrà? Secondo il sondaggio il 37% delle aziende ha già definito una policy per il rientro al lavoro al termine della scadenza, il 32% è al lavoro per definirlo, mentre il 30% è attendista e vuole capire se ci saranno altre novità in proposito.
Ma questa modalità di lavoro piace a molte aziende e anche ai collaboratori delle stesse: infatti il 58% circa delle aziende interpellate ha dichiarato che stanno trovando difficoltà ad assumere o trattenere i dipendenti se non con la garanzia di poter lavorare in smart working e oltre l’88% ha confermato che dopo la data del 30 giugno continuerà ad offrire la possibilità di lavorare in smart working e da remoto. Solamente l’11% afferma di essere contrario.
Il lavoro ibrido appare come un compromesso tutto sommato accettabile: il 38% delle aziende fa sapere che i dipendenti potranno lavorare da remoto almeno 2 giorni a settimana e il 14% almeno 1 giorno a settimana. Negli altri casi, con percentuali minori, si va da 3 ai 5 giorni fino ad una presenza di un solo giorno al mese. Questo il quadro generale emerso dall’indagine a cura del Centro Ricerche AIDP diretto dal prof. Umberto Frigelli.
“La modalità di lavoro smart è ormai entrata nel nostro nuovo DNA lavorativo e i dati della nostra indagine lo certificano in modo inequivocabile. Il punto oggi non è più rispondere alla domanda sulla necessità o meno dello smart working ma capire, e in qualche modo prefigurare, un autentico modello di lavoro smart e definire un nuovo equilibrio tra le diverse modalità di lavoro – spiega Matilde Marandola, Presidente Nazionale AIDP -. Non è solo una questione di modalità lavorativa o di norme, tuttavia, ma è anche, e forse soprattutto, un tema culturale. La ridefinizione dei tradizionali confini spazio-temporali dell’organizzazione del lavoro presuppone un adeguamento dei concetti tradizionali del lavoro come ad esempio il tema dell’autonomia e della responsabilità dei lavoratori a fronte di un minor controllo. E il dato della nostra ricerca, in questo senso è confortante laddove si evince che il 75% delle aziende non predisporrà sistemi di controllo da remoto. Ciò vuol dire che siamo pronti a cogliere le opportunità che la nuova sfida lavorativa ci pone”.
Le aziende sono sempre più smart
Le aziende stanno strutturando la propria organizzazione sulla base delle nuove esigenze. Il 30% ha già ristrutturato gli spazi fisici dell’azienda per organizzare il lavoro da remoto e la minor presenza fisica. Il 27% ci sta lavorando. Al contempo il 50% del campione ha già definito i requisiti minimi di idoneità dei locali privati quali luogo di lavoro da remoto ai fini della tutela della salute e sicurezza e il 22% l’ha previsto.
Anche sul diritto alla disconnessione il 42% delle aziende ha dichiarato che sono state introdotte garanzie da questo punto di vista, il 36% ci sta ragionando. Inoltre, il 46% ha intenzione di adottare suggerimenti e buone prassi specifiche per una migliore gestione del lavoro da remoto come per esempio: codici di condotta per i tempi e la partecipazione a videoriunioni, gestione della corrispondenza mail, e cosi via. La stragrande maggioranza, ossia il 75% degli intervistati ha affermato che non ha intenzione di adottare applicativi per il controllo della prestazione lavorativa da remoto.
Insomma, anche ricorrendo a questo nuovo modulo lavorativo, la work-life balance dovrebbe essere assicurata.
Il fenomeno del South Working
Durante i mesi di pandemia, molti lavoratori sono tornati alle rispettive regioni di origine dalle sedi del Nord e estere delle aziende, proseguendo il loro lavoro da remoto: è il cosiddetto south working che negli ultimi 24 mesi ha riguardato il 27% delle aziende. Il fenomeno ha riguardato in prevalenza laureati (93% circa), appartenenti alla fascia di età tra i 18 e i 35 anni (59%), in prevalenza uomini, il 60,5% contro il 39,50% di donne. Dopo il 30 giugno il 15% consentirà ai dipendenti originari delle regioni del Mezzogiorno di continuare il lavoro in south working a fronte del 58% delle aziende che ha espresso un parere contrario. Il 28%, invece, ci sta ancora pensando.
Gli accordi da prendere
Sempre analizzando i dati dello studio dell’Aidp, solo il 19% delle aziende ha contratti collettivi di regolazione dello smart working contro il 62% che ha dichiarato di non avere accordi il tal senso. Il 19% è ancora in fase di trattativa con i sindacati. Dal punto di vista del testo di contratto individuale sullo smart working da sottoscrivere con i lavoratori il 56% delle aziende ha già predisposto il testo mentre il 28% ci sta lavorando.