Smartworking, cosa succederà nel prossimo futuro?
Smartworking, cosa succederà ora che la presenza in ufficio sta lentamente tornando ad essere la normalità? In realtà, secondo lo studio dell’Osservatorio sullo Smartworking, non ci sarà un cambiamento radicale in tal senso.
Durante il 2021 con l’adesione alle campagne vaccinali è progressivamente diminuito il numero degli smart worker, passati da 5,37 milioni nel primo trimestre dell’anno a 4,07 milioni nel terzo trimestre. A settembre, infatti, si contano complessivamente 1,77 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630mila nelle PMI, 810mila nelle microimprese e 860mila nella PA. Progetti di smart working strutturati o informali sono presenti nell’81% delle grandi imprese (contro il 65% del 2019), nel 53% delle PMI (nel 2019 erano il 30%) e nel 67% delle PA (contro il 23% pre-Covid).
Il graduale rientro in ufficio tuttavia non vuole indicare un declino dello smartworking, ma al contrario, al termine della pandemia le aziende prevedono un aumento dell’utilizzo di questa pratica rispetto ai numeri registrati a settembre: si prevede saranno 4,38 milioni i lavoratori che opereranno almeno in parte da remoto (+8%), di cui 2,03 milioni nelle grandi imprese, 700mila delle PMI, 970mila nelle microimprese e 680mila nella PA.
Lo smartworking continuerà ad essere utilizzato o sarà introdotto nell’89% delle grandi aziende, dove aumenteranno sia i progetti strutturati sia quelli informali, nel 62% delle PA, in cui prevalgono le iniziative strutturate ma anche molta incertezza sul futuro (un quarto non sa se lo smartworking potrà restare o iniziare nel post-Covid), e nel 35% delle PMI, fra cui prevale un approccio informale (22%) ed è forte la tendenza a tornare indietro (un terzo di quelle che ha sperimentato lo smartworking prevede di abbandonarlo). Le modalità di lavoro in smartworking torneranno ad essere ibride, alla ricerca di un miglior equilibrio fra lavoro in sede e a distanza: nelle grandi imprese sarà possibile lavorare a distanza mediamente per tre giorni a settimana, due nelle PA.
Dati importanti questi che mettono in evidenza come la pandemia, tra tutte le problematiche che ha portato, ha anche voluto mostrare a chi non ci credeva che la modalità di lavoro nota come smartworking non è applicabile solo nelle aziende che “hanno già questa cultura”, ma che tale cultura sia realmente acquisibile.
Una scelta anche per il futuro
Secondo lo studio, l’equilibrio fra lavoro e vita privata è migliorato per la maggior parte di grandi imprese (89%), PMI (55%) e PA (82%). Ma ci sono anche degli aspetti negativi da considerare: nella combinazione di lavoro forzato da remoto e pandemia è calata dal 12% al 7% la percentuale di quelli pienamente “ingaggiati”, il 28% ha sofferto di tecnostress, il 17% di overworking.
“La pandemia ha accelerato l’evoluzione dei modelli di lavoro verso forme di organizzazione più flessibili e intelligenti e ha cambiato le aspettative di imprese e lavoratori, anche se emergono delle differenze fra le organizzazioni che rischiano di rallentare questa rivoluzione – afferma Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. Le grandi imprese stanno sperimentando nuovi modelli di lavoro, con la ricerca di nuovi equilibri fra presenza e distanza capaci di cogliere i benefici potenziali di entrambe le modalità di lavoro. In molte organizzazioni, soprattutto PMI e PA, invece, si sta tornando prevalentemente al lavoro in presenza a causa della mancanza di cultura basata sul raggiungimento dei risultati. Un arretramento che si scontra con le aspettative dei lavoratori e gli obiettivi di digitalizzazione, sostenibilità e inclusività del nostro Paese. Ora è necessario costruire il futuro del lavoro sul vero Smart Working, che non è una misura emergenziale, ma uno strumento di modernizzazione che spinge a un ripensamento di processi e sistemi manageriali all’insegna della flessibilità e della meritocrazia, proponendo ai lavoratori una maggiore autonomia e responsabilizzazione sui risultati”.
“Per cogliere tutti i benefici dello smart working serve l’impegno di tutti i soggetti – afferma Alessandra Gangai, Direttrice della Ricerca Smart Working nella PA -. Alle organizzazioni spetta il compito di strutturare progetti coraggiosi, lavorando su policy, tecnologie, spazi di lavoro e stili di leadership; i lavoratori devono allenare skill più adeguate al nuovo work-life balance; i policy maker devono accompagnare questa trasformazione con onestà intellettuale e lungimiranza”.