Spencer & Lewis alla ricerca della felicità. Intervista a Giorgio Giordani e Massimo Romano
Chi ha detto che il posto di lavoro deve essere per forza un luogo triste in cui andare ogni giorno a fare qualcosa che non ci va di fare? Sono molte le aziende che hanno compreso l’importanza di creare all’interno dell’ambiente lavorativo situazioni che possano essere piacevoli da vivere per proprietari, collaboratori e dipendenti.
Accoglienza e senso di comunità, attenzioni e rispetto reciproci: queste caratteristiche hanno permesso a Spencer & Lewis, Gruppo di Comunicazione Indipendente, associato a UNA (Aziende della Comunicazione Unite), la certificazione Great Place to Work®. Ma cosa significa per un’azienda ricevere questo riconoscimento? Lo abbiamo chiesto e Giorgio Giordani e Massimo Romano, rispettivamente Presidente e CEO di Spencer & Lewis.
Intervista a Giorgio Giordani e Massimo Romano
Cosa significa per voi aver ottenuto la certificazione Great Place to Work®?
Giorgio Giordani – Ricevere la certificazione Great Place to Work® è innanzitutto un grande onore perché rappresenta il primo di una serie di obiettivi tracciati nel nostro piano industriale. Un percorso di sostenibilità che vuole andare ben oltre la semplice opportunità mediatica: partendo dalla popolazione interna, si pone l’obiettivo di creare consapevolezza sul ruolo di ciascuno all’interno della propria azienda da una parte, e sul ruolo della propria azienda all’interno dell’ecosistema produttivo italiano dall’altra. Questa certificazione è il primo passo verso un percorso ben più ampio che porterà a trasformarci in una BCorp.
Cosa ha reso Spencer & Lewis un’azienda meritevole di questo riconoscimento?
Giorgio Giordani – Prima del periodo pandemico ci siamo resi conto che era necessario un cambio di paradigma aziendale, con un importante lavoro sul mindset delle nostre persone. Grazie all’integrazione in azienda di una figura verticale dedicata al capitale umano, la Chief Happiness Officer, abbiamo iniziato a lavorare sul capitale umano e su come un’agenzia di comunicazione può mettere in condizione ciascuno di poter dare il proprio meglio. Dal workplace management modificando gli ambienti di lavoro in stile biofilico all’analisi delle necessità e degli interessi delle singole persone, dal welfare aziendale allargato a un sistema free desk e senza cartellino. Abbiamo messo al centro la cosa più importante: il tempo, oggi di qualità anziché di quantità.
Voi avete scelto di puntare sulla People Culture e sulla valorizzazione dei dipendenti: perché oggi consiglierebbe ad un’azienda di fare lo stesso?
Massimo Romano – Tom Peters diceva che il cambiamento è una porta che si apre solo dall’interno. Se noi imprenditori non capiamo che abbiamo il dovere di offrire un ambiente lavorativo dove le persone possano dare il meglio, allora abbiamo sbagliato qualcosa. C’è un cambiamento in atto, ma il cambiamento funziona solo quando c’è consapevolezza. Soprattutto sul fatto che un dipendente felice rende di più. Il Covid ha dato una spinta ed ha accelerato un percorso di cambiamento che era già in atto. Le persone, oggi, non cercano solamente un posto dove siano ben pagate, ma uno dove potersi esprimere liberamente per quello che sono, con serenità, con il rispetto del proprio tempo libero, con un’attenzione reale alla persona. Lavorare in un ambiente sereno e in un’organizzazione felice non aiuta solo i dipendenti. Ha riscontri immediati anche su crescita aziendale e fatturato. Una cultura aziendale positiva e una valorizzazione dei dipendenti possono, inoltre, aiutare l’azienda ad attrarre e trattenere i migliori talenti sul mercato, il che può migliorare la qualità del lavoro svolto e aumentare la competitività dell’azienda.
Quali sono i benefici che avete riscontrato in azienda a seguito di questa vostra gestione?
Massimo Romano – L’esigenza di pensare alla felicità come elemento portante di tutta la nostra strategia si basa anche su ricerche e su dati che evidenziano un incremento dei profitti nelle organizzazioni che hanno un ambiente stabile all’interno. Dove le persone sono felici e tranquille si registra un incremento della produttività molto alto nel tempo (+31%); queste organizzazioni hanno il 300% in più di capacità d’innovare, il 37% in più di aumento delle vendite, il 44% sulla retention (insieme di azioni che un’azienda mette in atto per trattenere i clienti). È una cosa che fa bene a tutti. Il nostro lavoro si basa sulle persone, siamo un’agenzia di comunicazione, quindi se noi cresciamo, cresciamo perché le persone stanno lavorando bene.
Cosa rende “appetibile” un posto di lavoro oggi?
Massimo Romano – Il valore più importante è il tempo. Oggi se ne parla molto ed è positivo che il tema del tempo sia finalmente al centro del dibattito, ma viene affrontato sempre con troppa superficialità e, soprattutto, banalizzato e ridotto a numeri che non significano nulla. Cucinelli ha parlato di 7 ore lavorative al giorno. Non è mai un problema di ore. Il tema, piuttosto, è come ottenere da noi e dalle persone con cui collaboriamo un lavoro della maggiore qualità possibile, senza sacrificare il nostro tempo libero. Dovremmo interrogarci su questo, piuttosto che arrovellarci su quale schema orario adottare. Di schemi orari ce ne sono tanti quanti sono i lavoratori, perché ognuno, se potesse scegliere, ne adotterebbe uno diverso. Non ha senso spendere energie a cercarne uno che valga per tutti. Il punto, invece, è trovare soluzioni per mettere ognuno nella condizione di rendere al meglio. E in quest’ottica a guidarci dovrebbe essere la felicità. Sono profondamente convinto che gli sforzi organizzativi delle aziende, e di noi imprenditori, debbano andare in questa direzione: rendere felici i propri collaboratori. Non credo ci sia nulla di più appetibile per un giovane che cerca lavoro.
In che modo è cambiato il modo di raffrontarsi fra datore di lavoro e lavoratore negli ultimi anni?
Massimo Romano – Negli ultimi anni, c’è stato un cambiamento significativo dovuto a una serie di fattori. Primo tra tutti la tecnologia: l’adozione di strumenti tecnologici, come la collaborazione online e lo smart working, ha cambiato il modo in cui le imprese gestiscono i lavoratori e come i lavoratori si relazionano con i loro datori di lavoro. Poi il cambiamento demografico: la diversificazione della forza lavoro, con lavoratori di età e background diversi, ha portato a nuove esigenze e aspettative in termini di flessibilità e work-life balance. Ma soprattutto, la sempre maggiore consapevolezza dei diritti dei lavoratori che ha reso i datori di lavoro più attenti alle esigenze dei dipendenti. La globalizzazione e la crescente competizione economica hanno reso più difficile per i datori di lavoro mantenere una forza lavoro stabile e motivata, e hanno spinto a cambiamenti reali nei rapporti fra datore di lavoro e lavoratore. In generale, c’è una tendenza verso un modello di relazione più collaborativo e basato sulla fiducia, in cui entrambe le parti si impegnano a garantire il successo dell’impresa e la soddisfazione del lavoratore.
Il mondo del lavoro è in costante evoluzione: come cambia un’azienda come la vostra?
Giorgio Giordani – Quello che è accaduto negli ultimi anni, colpa o merito della pandemia globale, ha tracciato un segno chiaro nella società. Un’evoluzione che non ha precedenti rispetto a momenti di cambiamento del passato. Al centro i mutamenti sociali, che noi da sociologi abbiamo osservato sin da subito provando a capire cosa sarebbe accaduto e cosa accadrà in futuro per adattare strategie, modelli e processi. Noi siamo stati da sempre iperdigitalizzati, lavoravamo già a distanza con facilità, avevamo gli strumenti per farlo. Abbiamo solo dovuto adattare i processi e applicare i modelli di gestione.