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La figura del CFO in azienda: in che modo è cambiata negli ultimi anni?

Come si sa, la figura del CFO in azienda è sempre più importante e negli ultimi anni risulta essere fortemente cambiata, e come potrebbe essere altrimenti, rispetto al passato. I direttori delle aziende hanno visto stravolgere letteralmente il proprio lavoro dalle nuove necessità e dai vari mutamenti che si sono verificati, specie negli ultimi 2-3 anni. Come hanno reagito a tutto questo?

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Settimana corta al lavoro: tra 5 anni potrebbe essere la normalità. Cosa dice uno studio…

La settimana corta al lavoro è stato certamente uno dei temi più trattati nel 2023. C’è chi dubita sull’efficace di questo sistema lavorativo e chi è invece sicuro che possa essere un metodo per ottenere una maggiore produttività, garantendo ai dipendenti un welfare migliore.

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Più di 1 italiano su 4 non sa leggere bene la busta paga

La notizia è di quelle che fanno sorridere, ma fino ad un certo punto. Secondo lo studio “Workforce View in Europe” di ADP, che ha preso in esame oltre 10.000 dipendenti in Francia, Germania, Italia (1400), Paesi Bassi, Polonia, Spagna e Regno Unito, in cui si è parlato di lavoro, alla domanda “se ci fosse un errore in busta paga lo sapresti individuare?”, il 73% degli italiani ha risposto si, ma vi è un incredibile 27% che non ne è per niente sicuro.

In particolare, il 12% afferma di ricevere un documento a suo dire troppo confusionario, un 15% dice addirittura di non leggerla mai.

“Il Payroll in Italia è oggi fra i più complicati al mondo, con una sovrapposizione storica di provvedimenti, leggi e norme, alcuni risalenti ai primi decenni del ventesimo secolo; si aggiungono poi frequenti cambiamenti nelle prassi operative e un complesso sistema contributivo-fiscale, in parte basato su criteri nazionali e in parte articolato su più livelli territoriali e settoriali. È in effetti un documento complesso, ma il lavoratore è il primo che deve saperlo leggere. La busta paga è un documento essenziale, che va costantemente monitorato dal lavoratore, non solo per controllare l’importo dello stipendio, ma anche i giorni di ferie, il numero dei ROL, le imposte pagate. Non leggere la busta paga è una mancanza da colmare” afferma Oscar Rottigni, Normativa & Soluzioni Standard Manager di ADP Italia.

Capire la busta paga non è per tutti

Studiando le varie età anagrafiche, appare chiaro che i meno preparati in materia di “cedolini” dello stipendio siano i più giovani, in particolare quelli dai 16 ai 24 anni. Anche in questa fascia è il 27% ad affermare di non capire bene la propria busta paga, ma ben il 19% conferma che è così perché proprio non la legge. I più attenti? Sono gli over 55 tra i quali solo il 13% dice di non leggerla (con una percentuale di “non la capisco” che è comunque del 26%).

Attenzione quindi a quello che avverrà di qui a breve, perché ci sono novità per il periodo marzo-aprile (alcune in atto già da inizio anno), come per esempio il cambio degli scaglioni e delle aliquote Irpef (passate da 5 a 4), la modifica delle detrazioni per tipologia di reddito e il nuovo trattamento integrativo per i titolari di reddito da lavoro dipendente. Il cambiamento più imminente è sicuramente quello dell’assegno unico.

“Il D.Lgs. 230/2021 ha introdotto, con decorrenza 1° marzo 2022, l’assegno unico universale in sostituzione degli assegni per il nucleo familiare dei nuclei con figli e i nuclei orfanili e delle detrazioni per figli a carico fino ai 21 anni. L’assegno unico universale è un beneficio economico su base annuale, il cui importo varia in base alla composizione del nucleo familiare e dell’ISEE, riconosciuto direttamente dall’INPS ai soggetti richiedenti: la possibilità di presentare domanda è stata attivata dall’Inps a far data dal 1° gennaio 2022” specifica Rottigni.

Sicuramente, dopo aver letto questo articolo qualche dubbio in più vi verrà… È vostro diritto chiedere spiegazioni e chiarimenti!

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Cambiamenti di ruolo e più responsabilità con la pandemia: ecco i risultati dello studio di ADP

ADP ha reso noti i risultati della sua nuova survey sui cambiamenti nel mondo del lavoro dovuti alla pandemia da Covid-19. Lo studio si chiama “People at Work 2021: A Global Workforce View”, ed ha analizzato gli atteggiamenti dei dipendenti nei confronti dell’attuale mondo del lavoro e le loro aspettative e speranze future. L’ADP Research Institute ha intervistato 32.471 lavoratori di 17 Paesi tra il 17 novembre e l’11 dicembre 2020, tra cui 2000 in Italia.

I risultati dello studio

Molti lavoratori hanno dovuto sostenere un maggiore carico di impegni in modo da compensare i licenziamenti, l’effetto a catena prodotto dal Covid-19, ma la pandemia ha comportato implicazioni ancora più ampie.

Il 44% dei lavoratori italiani ha subito un cambiamento di ruolo o la modifica delle mansioni ricoperte a causa della necessità, da parte dei datori di lavoro, di adattare nuovi metodi di lavoro, di avere a disposizione nuove competenze e, in alcuni casi, ristrutturare l’organizzazione aziendale.

Anche in questo caso, i lavoratori della Generazione Z sono stati costretti ad adottare una maggiore flessibilità: il 62% circa dei lavoratori dai 18 ai 24 anni ha cambiato ruolo o ha ricevuto maggiori responsabilità. La percentuale scende al 51% nella fascia 25-34, al 46% in quella 35-44, al 38% tra i 45 e 54, al 25% sopra i 55 anni.

Tra gli aspetti positivi c’è il fatto che, anche se un buon 42% preferiva il ruolo svolto prima della pandemia, il 46% apprezza il nuovo ruolo e le relative responsabilità.

Le sfide legate al COVID-19 hanno consentito ad alcuni lavoratori di sviluppare competenze nuove o intraprendere percorsi di carriera che sfruttano il loro potenziale in modi imprevisti e aumentano la soddisfazione personale. Gran parte di essi ha ricevuto una ricompensa per il proprio impegno: il 56% ha avuto un aumento di stipendio o un bonus, anche se restano preoccupanti le disparità di genere.

I problemi maggiori, sempre stando ai dati dichiarati dallo studio, si sono verificati per le donne. Infatti, su 32.000 lavoratori intervistati in 17 Paesi, il 68% di essi dice di aver ricevuto un aumento di stipendio o un bonus per aver preso in carico responsabilità aggiuntive. Tuttavia, in tutte le aree geografiche, le donne risultano avere meno probabilità degli uomini di ricevere tale compenso, con il maggiore divario riscontrabile in Nord America.

Alla domanda posta agli italiani: “Cosa ti ha offerto il tuo datore di lavoro nel momento in cui hai assunto queste responsabilità aggiuntive e/o un nuovo ruolo?”, il 29% degli uomini ha ricevuto un aumento di stipendio contro il 24% delle donne. Il 32% degli uomini un bonus economico contro il 26% delle donne.

Marisa Campagnoli, HR Director di ADP, ha commentato: “I lavoratori di entrambi i sessi si sono impegnati ben oltre il dovuto per supportare i datori di lavoro obbligati a effettuare tagli al personale o a riorganizzare le attività a causa della pandemia, ma le donne si sono ritrovate tagliate fuori dal punto di vista del riconoscimento economico per i loro sforzi. Se alcuni datori di lavori, comprensibilmente, non possono permettersi di offrire aumenti di stipendio o bonus in questi tempi difficili, la triste realtà vede le donne risentirne sproporzionatamente. Ciò ci fa capire quanta strada c’è ancora da fare per sradicare questa disuguaglianza sistematica e colmare il divario retributivo di genere. La percezione di equità dei dipendenti costituisce un elemento critico della loro fedeltà e dedizione, che a loro volta influiscono sulla produttività e sulla conservazione del talento, e più in generale, sulla reputazione del brand aziendale. Quando le donne inizieranno a percepire i propri sforzi come non presi in considerazione e sottovalutati – specialmente in relazione ai colleghi uomini – si creerà una situazione che i datori di lavori vorranno evitare a tutti i costi”.

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La rioganizzazione del team di lavoro all’epoca del Coronavirus

La riorganizzazione del team di lavoro: da dove partire

Non è facile lavorare in questo periodo in cui il Coronavirus condiziona pesantemente in primis le nostre stesse vite. Abbiamo cambiato il luogo di lavoro ( che spesso è la nostra casa), sono cambiati i rapporti sociali (ormai virtuali): insomma, abbiamo mutato l’architettura delle nostre giornate lavorative. Conseguenza naturale è stata una naturale riorganizzazione del team di lavoro che collabora con noi.

L’uso di strumenti tecnologici per rimanere in contatto con i collaboratori è oggi essenziale: Zoom, Skype, Whattsup, sono solo alcuni dei sistemi per interfacciarci con chi lavora con noi, ma è sufficiente questo per mantenere viva la “fiammella”?

5 modi per sostenere il proprio team di lavoro

In questa ottica, gli esperti di ADP, leader riconosciuto a livello mondiale in ambito HCM, hanno elaborato 5 consigli utili per aiutare e sostenere il proprio team di lavoro ai tempi del Coronavirus.

Sostegno psicologico 

“Mai come in questo momento, i manager devono considerare i propri dipendenti degli individui, non numeri su un foglio di calcolo. dichiara Marisa Campagnoli, Direttore HR ADP Italia Devono essere in grado di risollevare tanto il morale quanto la motivazione, dando un senso alle decisioni aziendali in modo tale che i team siano attivamente coinvolti negli obiettivi e nelle attività strategiche dell’azienda. Adp, nella sua survey annuale sulla forza lavoro, ha registrato come un lavoratore italiano su tre (32,5%) affermi che non vi sia il minimo interesse da parte della propria azienda in merito al suo benessere e stato psicologico/emotivo. In questo momento non vi deve essere questa percezione, pena un forte calo della produttività”.

Emerge quindi come, in questa situazione, il sostegno psicologico sia un primo punto fondamentale. Può essere di aiuto organizzare per i propri dipendenti anche delle sessioni di webinar incentrati su benessere fisico (lezioni di yoga per far un esempio) ma soprattutto motivazionali, come i cosiddetti “mind fulness” o “mind fitness”, ovvero corsi che esercitano la mente ad affrontare momenti di stress particolari attraverso percorsi di riflessione e allenamento mentale.

Incentivare il coinvolgimento e la performance

Mantenere il coinvolgimento del personale, mentre lavora da casa, è una delle sfide più ardue. 

“Occorre avere una chiara visione di come le capacità sono utilizzate nel proprio team e di dove vi sono eventuali discrepanze, così da pianificare una buona strategia nell’attribuzione dei compiti individuali. – afferma Marisa Campagnoli – Riuscire a vedere le capacità e le performance significa essere in grado di fornire al team la formazione fondamentale per i ruoli ricoperti e altresì identificare l’eventuale ulteriore supporto necessario per colmare le lacune di performance”. 

I leader devono giudicare e analizzare l’impegno di ogni singolo membro del team, affidandogli mansioni a lui più congeniali e analizzandole i risultati, per cogliere eventuali problematiche.

Mantenere la separazione tra tempo lavorativo e tempo privato

In una situazione in cui lavoro, famiglia e tempo libero si realizzano tutti nel medesimo luogo, la casa, è facile perdere la distinzione tra le diverse attività.

È però fondamentale, mai come in questo momento, che le sfere lavoro/privato rimangano separate. I manager non devono pensare, o dare per scontato, che il proprio dipendente a casa non abbia comunque diritto a un orario di lavoro preciso. Trovare il giusto equilibrio tra vita personale e lavoro è importante anche se con l’avvento delle nuove tecnologie i confini stanno diventando sempre più sfumati.

Secondo uno studio ADP dal titolo “People Unboxe”, tre quarti dei dipendenti italiani (78%) ha dichiarato di desiderare fortemente di mantenere lavoro e vita privata ben separati. Alla domanda “cosa pensi che possa impattare positivamente sul tuo benessere mentale e psicologico in tema lavoro?” il 43% degli italiani ha risposto proprio il lavoro flessibile, ma con attenzione ancora una volta alla separazione delle due sfere. Quindi sì allo smartworking, ma con regole e tempi precisi.

“Con il lavoro flessibile e l’uso diffuso delle tecnologie come supporto sul posto di lavoro, le società rischiano di incoraggiare una cultura del lavoro “sempre attivo”, – specifica Marisa Campagnoli – e questo potrebbe persino avere un impatto negativo sulla produttività. I team HR e i business leader dovrebbero dare ai singoli l’autonomia di scegliere come organizzare il proprio bilanciamento vita-lavoro, soprattutto in questa situazione. Le persone che desiderano unire lavoro e vita privata devono avere la possibilità di farlo. Analogamente, tale diritto deve essere riconosciuto anche a coloro che vogliono mantenere le due sfere ben distinte. È la libertà di scelta l’elemento fondamentale per garantire il coinvolgimento dei dipendenti a qualsiasi livello”. 

Incoraggiare l’apprendimento personale 

Per le aziende è un ottimo momento per puntare alla formazione dei propri dipendenti. Molte imprese si troveranno inevitabilmente in questo momento con un carico di lavoro inferiore, organizzare webinar e seminari online per i propri dipendenti può essere un’ottima idea per non sprecare questo tempo a disposizione, ma anche per mantenere alta la soglia dell’attenzione e del coinvolgimento.

Non dimenticare i “come stai?” e i “bravo, ottimo lavoro”

Come già ribadito, è un periodo di forte stress psicologico per tutti. La resa sul lavoro può subire forti ripercussioni da questa tensione causata dalla reclusione forzata, che in qualche modo tende a instaurare un clima di paura e sconforto. Proprio per questo, un bravo manager, non dovrebbe mai dimenticarsi di chiedere a ciascun membro del proprio team, come prima cosa, “come stai?”. Il lavoratore è un individuo e non un mero esecutore di compiti, e così non deve sentirsi. Fondamentale poi sono i riconoscimenti, ora più che mai. Se un dipendente fa un buon lavoro, sottolinearglielo non diventa solo per lui motivo di orgoglio, ma in una situazione così difficile anche una spinta a fare e a non lasciarsi andare allo sconforto.

Lavoro e vita privata: occorre tracciare un confine netto che divida i due ambiti

Stanchi dopo una giornata di lavoro tornate a casa. È stata dura e quello che vorreste è solo un po’ di quiete e di tepore domestico. Ma qualcosa va storto e subito vi innervosite. Sarebbe accaduto anche se la vostra giornata di lavoro fosse stata scintillante?

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Un italiano su cinque è d’accordo sul “darsi malato” per non andare al lavoro

Mentire sul proprio stato di salute per non recarsi al lavoro: terribile! Eppure un quinto degli impiegati italiani ritiene che non sia sbagliato “darsi malato” al lavoro quando non si ha proprio la voglia di andarci. Per fortuna, c’è il rovescio della medaglia: un buon 65% non è d’accordo!

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Lavorare per lo stipendio? Certo, ma non solo…

Lavorare per soldi? Certo, lo facciamo tutti, perché tutti quanti abbiamo le nostre necessità. Ma lo stipendio è l’unico motivo che ci spinge ogni giorno a muoverci dal nostro comodo letto e recarci al nostro posto di lavoro? A quanto sembra, non è completamente così che stanno le cose.

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