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Alla ricerca di un nuovo posto di lavoro: l’estate ha portato consiglio

L’estate ha portato quest’anno un caldo atroce, ma anche nuovi progetti. Durante la pausa estiva, evidentemente, in molti hanno avuto modo di riflettere sul proprio futuro e immaginarlo in un nuovo posto di lavoro. Dopo la pausa estiva, infatti, LinkedIn segnala un aumento delle ricerche di impiego sulla piattaforma.

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Come cambiare lavoro, business e professione: consigli pratici

Ormai ne dovremmo essere consapevoli: per sopravvivere e prosperare in periodi di grande trasformazione come l’attuale, dobbiamo cogliere le opportunità che si presentano e valorizzare le nostre capacità: ma come facciamo a capire cosa fare per cambiare lavoro, attività, professione

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Cambiare lavoro: sale la fiducia nel 2023. Nonostante tutto…

In questo delicato momento nel mondo del lavoro la parola chiave è incertezza. Incertezza sul salario, sulla continuità, sulle strade da intraprendere. Proprio in virtù di questo LinkedIn ha realizzato uno studio interessante che illustra come, nonostante il periodo delicato, si guardi con fiducia alle nuove opportunità lavorative nel 2023, in particolare, per quanto riguarda i giovani.

Secondo lo studio e i dati che sono stati diffusi dal sociale network dei professionisti alla fine dello scorso anno, tra 2.900 executive (C-suit) a livello globale, si evidenzia un rallentamento delle assunzioni su scala globale con, solo in Italia, il 34% delle aziende che ridimensionava i propri piani di hiring.

Oggi quasi la metà (49%) dei lavoratori intervistati ha detto che, rispetto all’inizio del 2022, si sente più sicura della possibilità di richiedere una promozione o una nuova opportunità, mentre solo un quinto (20%) si sente meno fiducioso. E il 47% ha dichiarato di sentirsi più a proprio agio nell’esprimere disaccordo con un superiore.

I giovani sono più ottimisti

Per quanto riguarda i partecipanti allo studio in Italiani nota chiaramente dai risultati come oltre della metà degli intervistati (54%, percentuale esattamente nella media internazionale) stia valutando la possibilità di cambiare lavoro nell’anno in corso, con differenze più che evidenti in base all’età: il 69% nel gruppo 18-24 anni, contro il 46% nel range di età 45-54 e il solo 27% in quello degli over 55.

Ma quali sono le motivazioni che spingono al cambiamento? Secondo lo studio di LinkedIn, la maggior parte dei millennial (25-34) e degli intervistati più anziani (35-54 anni) pensa di ottenere migliori risultati economici, solo il 31% della genZ mette il salario come principale ragione per un cambiamento.

Un altro dato che si evidenzia è che per i più giovani (18-24 anni), la motivazione è la ricerca di un miglior equilibrio tra vita privata e professionale (29%) e il fatto di sentirsi più sicuri nelle proprie capacità (29%) e quindi nella possibilità di trovare una posizione altrove. Tra i millennial (25-34 anni) questi due argomenti vengono percepiti in modo differente: il 23% di loro cita la work-life balance come una priorità, e solo il 19% fa riferimento al sentirsi più sicuro delle proprie capacità.

E, al contrario, quali sono le motivazioni che spingono i lavoratori a restare nelle aziende? Solo il 20% della genZ (18-24 anni) ha dichiarato di avere, correntemente, una buona work-life balance, con un distacco di quasi 20 punti percentuali rispetto ai millennial (39%) e di quasi 10 punti con il resto delle fasce d’età considerate (dai 35 anni agli over 55). Interessante anche come gli intervistati del gruppo tra i 35-44 anni siano i più annoiati dal proprio attuale ruolo: il 25% di loro cita proprio questa come ragione per considerare un cambiamento, staccando di netto tutte le altre fasce d’età.

Proprio per dare l’opportunità a lavoratrici e lavoratori di ampliare la propria formazione e mettere alla prova le proprie capacità, LinkedIn Learning offre oltre 17 mila corsi diversificati, disponibili sulla piattaforma italiana lanciata di recente, e in particolare anche il programma ad accesso gratuito “Affrontare la sindrome dell’impostore” per creare fiducia nella carriera, in particolare per chi cerca nuove opportunità lavorative.

Le opportunità che derivano dal mondo del digital

Per alcuni non ci sono alternative, altri lo vedono come un nemico: la verità è che il digitale è ormai fondamentale come e quanto parole e numeri.

In media, quasi 7 intervistati su 10 (65%) hanno dichiarato che, negli ultimi 10 anni, cercare lavoro è diventato più difficile: tra questi, la pensa così il 56% della genZ (18-24 anni) mentre la percentuale sale drasticamente per i millennial (25-34 anni), toccando il 70%. In particolare la speranza è riposta nel mondo del digital: è così per la fascia di età tra i 35 e i 44 anni (54%). Nel valutare le offerte di lavoro pubblicate dalle aziende, gli intervistati in Italia individuano come elementi di grandissima importanza fattori come la presenza d’informazioni chiare sullo stipendio e sui benefit (48%), la possibilità di lavorare 4 giorni su 7 (16%) e quella di lavorare in modalità ibrida o da remoto (16%). Per quanto riguarda le informazioni sullo stipendio, vediamo che su questo punto le differenze generazionali si appiattiscono: è un punto fondamentale per tutti, persino più importante per la genZ (48%) rispetto ai millennial (45%).

“Un’indagine che abbiamo condotto a fine 2022 tra dirigenti e C-level ha rivelato un clima di diffusa preoccupazione per il futuro del lavoro, dovuta all’incertezza della situazione economica e politica su scala globale”, commenta Marcello Albergoni, Country Manager di LinkedIn Italia. “Con questa nuova survey abbiamo voluto dare voce alla controparte, ai lavoratori: ne è emersa una percezione diversa, più ottimistica, soprattutto da parte della genZ. Dopo la pandemia, è chiaro che i lavoratori hanno sviluppato una certa resilienza: lo vediamo nell’atteggiamento di fiducia che nutrono nell’affrontare l’anno appena iniziato. I professionisti sono consapevoli del proprio valore e stanno prendendo in mano la propria carriera, investendo in nuove competenze. Di conseguenza, un punto fondamentale che i leader devono tenere presente per attrarre e mantenere i giovani talenti è, in particolare, l’offerta formativa. È importante investire sulle persone, favorendo l’apprendimento di nuove skill e mettendo in campo possibili nuove opportunità di crescita. Non solo, i più giovani cercano anche maggior flessibilità, un elemento imprescindibile, da tenere in considerazione anche per questa fascia d’età”.

Per facilitare le ricerche di un impiego, Linkedin ha realizzato un elenco di lavori che nel ultimi 5 anni hanno trovato maggiore richiesta.

vo inizio, LinkedIn ha stilato la lista dei “Jobs on the rise”, ovvero delle professioni che hanno visto una crescita maggiore negli utlimi 5 anni. In Italia, nella top 10 figurano: 

  1. Addetto allo sviluppo commerciale
  2. Sustainability specialist
  3. Analista SOC
  4. Customer success manager
  5. Direttore di farmacia
  6. Data engineer
  7. Cloud engineer
  8. Cyber security engineer
  9. Machine learning engineer
  10. Responsabile dello sviluppo aziendale
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Workmonitor Randstad: c’è tanta voglia di cambiare lavoro. Ecco perché…

C’è tanta voglia di cambiare, di provare nuove esperienze, nella vita quotidiana (dopo tante costrizioni), ma anche nel lavoro. Secondo le rilevazioni del Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro, realizzata da Randstad in 34 Paesi, intervistando per ogni nazione un campione di oltre 800 dipendenti fra 18 e 67 anni, emerge che più della metà dei lavoratori italiani sta cercando un nuovo lavoro o inizierà a farlo a breve.

Le motivazioni possono essere molto diverse e quello che è importante capire è che i manager delle aziende non possono perdere i loro talenti e allo stesso tempo devono cercarne altri.

I dati dello studio

È importante da subito mettere l’accento sul fatto che il 29% dei lavoratori italiani oggi sta attivamente cercando un nuovo impiego (l’Italia è al terzo posto al mondo in questa classifica), percentuale che arriva al 38% nella fascia tra i 25-34 anni. E un altro 24% sta pensando di cercarne uno nuovo, con un’incidenza più alta tra le fasce giovanili. D’altronde, gli italiani sono in penultima posizione al mondo fra coloro che nell’ultimo anno hanno ricevuto un aumento di stipendio (il 19%), in ultima per distribuzione dei benefit (53%), tra i meno agevolati dalla flessibilità (il 62% non può scegliere quante ore lavorare, il 60% dove e il 50% quando).

Altri numeri importanti: oggi il 38% lascerebbe il proprio datore di lavoro se non tenesse conto delle sue richieste, percentuale che sale addirittura il 56% tra i giovani di 18-24 anni.

Il ruolo del lavoro nella vita delle persone

Uno dei motivi principali per cui si cambierebbe lavoro è che lo stesso non è più in grado di soddisfare le ambizioni di realizzazione personale, in particolare tra i giovani. Per due terzi degli italiani (77%) “il lavoro è importante nella vita”, ma meno della metà (49%) lo ritiene realmente in grado di offrire uno scopo. E per il 60% la vita personale e più importante di quella lavorativa. Oltre metà (53%) dichiara addirittura che se i soldi non fossero un problema sceglierebbe di non lavorare affatto. 

Questo aspetto riguarda soprattutto la generazione Z. Infatti, oltre un terzo dei dipendenti (ben il 36%) ha già abbandonato un lavoro perché non si adattava alla propria vita privata, la percentuale sale al 51% tra i 18-34 anni. Il 38% degli italiani lascerebbe il lavoro se questo gli impedisse di godersi la vita, ma è pronto a farlo più di metà dei lavoratori dai 18 fino a 25 anni. Addirittura, il 23% dei dipendenti preferirebbe essere disoccupato che infelice sul lavoro, ma nella fascia 25-34 anni l’incidenza sale al 34%.

Nell’era dello smart working, le considerazioni legate alla flessibilità sono aumentate per gli italiani, ma non come dovrebbero. Infatti, il 76% dei lavoratori italiani auspica una flessibilità di orario, il 70% di luogo. Ma le aziende la offrono solo nel 50% dei casi per l’orario e nel 40% per il luogo. Il risultato è che il 27% dei lavoratori ha già lasciato un lavoro che non offriva, secondo il loro giudizio, una sufficiente flessibilità (percentuale che sale al 49% tra i 18-24 anni). 

Il tempo libero è destinato maggiormente alla famiglia (nel 66% dei casi), poi a prendersi cura di sé (49% fisicamente, 19% salute mentale), coltivare passioni (44%), viaggiare (34%), pensare al proprio sviluppo personale (24%), socializzare (12%). Poi vengono le attività di welfare familiare (26%) o comunitario (13%).

Le ambizioni professionali

Le ambizioni professionali risultano spesso poco considerate. Il 70% pensa che la formazione sia rilevante, ma solo per il 65% il lavoro attuale offre le giuste opportunità di formazione. I bisogni formativi più sentiti sono competenze utili a consolidare il ruolo attuale (nel 58% dei casi), sviluppare di competenze tecniche (53%), la formazione digitale (44%), lo sviluppo soft skill (40%). Gli italiani puntano meno alla riqualifica in vista di un nuovo ruolo (39%).

Tra le diverse azioni intraprese dai datori di lavoro per rendere felici i dipendenti negli ultimi 12 mesi, solo il 19% ha ricevuto un aumento di stipendio (contro il 36% nella media globale), il 23% ha ricevuto una nuova opportunità di formazione o sviluppo (25% globale), il 22% ha visto un aumento della flessibilità di orario di lavoro (26% globale) e il 26% di luogo (28% globale). E appena il 15% ha riscontrato maggiori vantaggi (contro il 22% a livello globale).

Il 46% degli italiani vuole cambiare lavoro nel 2022: ecco cosa si cerca

L’obiettivo di questo 2022? Per molti italiani è trovare un nuovo lavoro. Sarà per la voglia di trovare nuovi stimoli, per conoscere ambienti lavorativi mai frequentati, accrescere la propria professionalità. Fatto sta che la voglia di rimettersi in gioco è tanta.

A confermarlo è uno studio di Indeed, portale tra i più frequentati in Italia per chi cerca e offre lavoro, che propone uno studio secondo il quale oltre il 46% degli italiani sta pensando di cambiare lavoro. Proposito che 1 su 10 ha già avviato lo scorso anno.

Le ragioni che spingono al cambiamento

Le motivazioni sono ovviamente diverse tra chi ha partecipato allo studio: un maggiore guadagno rappresenta la spinta principale a cambiare lavoro (54%), ma si fanno largo altre ragioni. Un’altra motivazione è la ricerca di aziende con prospettive di sviluppo (18%) e a lavori sicuri (15%), nonché a buoni pacchetti di benefit (16%).

Anche lavorare da casa (16%) è una buona motivazione per cambiare. Più di 1 italiano su 10, inoltre, punta a lavorare in un ambiente che sia inclusivo, di cui condivide la cultura aziendale.

Se fino a qualche tempo fa spesso ci si accontentava, oggi non è già così. Più del 50% dei partecipanti all’indagine di Indeed ha una visione ottimista del mercato del lavoro e delle opportunità di carriera che si potranno aprire nel 2022.

Anche i datori di lavoro stanno puntando ad un’offerta diversa rispetto al passato. Il 20% prevede, infatti, di assumere a ritmo più sostenuto rispetto al pre-pandemia. Probabilmente per via di buone prospettive di sviluppo (8 aziende su 10 contano su un incremento del business nel 2022) ma anche in virtù del turn over che, nel corso del 2021, è aumentato secondo il 33% dei recruiter. In particolare, per le aziende che impiegano più di 500 persone (45%).

Gianluca Bonacchi, Recruitment Evangelist di Indeed spiega “La pandemia ha modificato non solo priorità e preferenze dei lavoratori. Ha fondamentalmente cambiato la percezione di cosa debba intendersi per buon lavoro. Oggi le persone vogliono prima di tutto sentirsi al sicuro. Vogliono, inoltre, poter contare su una certa dose di flessibilità nell’espletamento delle proprie mansioni; sia in termini di orari, sia di luoghi. Non ultimo, apprezzano tutti quei benefit e quelle forme di supporto capaci di offrire un sostegno che va al di là della pura dimensione lavorativa, a sostegno del benessere personale del singolo e della vita al di là del lavoro”.

Come attirare i talenti?

Le aziende si stanno dando un gran da fare. Infatti, per attrarre e mantenere i migliori talenti, le aziende interpellati si dicono pronte a introdurre una serie di nuove policy nel 2022: dall’incremento della possibilità di lavorare da casa (42%), all’organizzazione degli spazi di lavoro in modo da garantire distanziamento (40%); dall’ offerta di supporto psicologico (37%), al miglioramento dei benefit (32%) ma anche creazione di occasioni di socializzazione (32%), per ovviare alla mancanza del contatto quotidiano.

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Perché cambiare lavoro? Ecco i motivi più comuni che spingono a cercare alternative

Perché cambiare lavoro? Beh, le risposte possono essere tante e tutte personalissime. Si cambia lavoro per guadagnare più soldi, per questioni di incompatibilità. per ragioni famigliari… Insomma ognuno ha la sua motivazioni. Queste sono state raccolte uno studio di Glickon, azienda italiana specializzata in People Experience e Analytics, presenta i dati dell’Osservatorio sul lavoro che offrono uno spaccato sulle motivazioni che portano le persone a cambiare occupazione.

Perché si cambia lavoro?

Secondo lo studio, l’assenza di prospettive rimane al primo posto (20,5%) ma registra un notevole calo rispetto al dato dell’anno precedente (32,5%), la retribuzione non soddisfacente assume un minore rilievo scendendo dal 14% al 4,3%. Che cosa incide allora in maniera crescente sulla decisione di cambiare lavoro? L’equilibrio tra vita privata e lavoro è sempre più importante: se un anno fa solo il 3,7% dichiarava come un miglior work-life balance rappresentasse una ragione importante tra quelle che portano a cercare un’occupazione diversa, oggi la percentuale è salita al 7,2.

La sicurezza della posizione ricoperta, infine, è uno stimolo non indifferente alla ricerca di un nuovo lavoro solo per il il 4% degli intervistati.

Cosa cercano i lavoratori?

L’obiettivo principale di coloro che scelgono di cambiare è quello di trovare un’organizzazione che abbia una cultura aziendale stimolante (24,6%). Il 12,4% dei lavoratori, infatti, aspira a trovare, con la nuova occupazione, anche un migliore work-life balance e il 9,5% prospettive di carriera più allettanti. Infine, l’11% del campione intervistato afferma che ciò che rende appetibile il lavoro in un’azienda è che questa sappia offrire un’esperienza di lavoro sfidante.

Tutto questo considerando un dato che è certamente non trascurabile: circa 1/3 della nostra vita la trascorriamo al lavoro: in tutto circa 90.000 ore… Le aziende sono sempre più consapevoli che i loro risultati economici sono dipendenti in buona parte dalla qualità dell’esperienza che sono in grado di offrire ai propri clienti, ma ancora prima ai loro collaboratori.

“Il lavoro ibrido, o qualsiasi altra definizione si voglia dargli, è un sistema giovanissimo, frutto di una mossa istintiva in reazione alla pandemia, tanto giovane da dover essere ancora generato, nella maggior parte dei casi, da persone che ancora non sono entrate nel mondo del lavoro. Dopo tanti tentativi capiremo che non sono le giuste condizioni che generano una buona esperienza di lavoro, ma sono le persone che hanno il potere di vivere o meno una buona esperienza di lavoro” – commenta Filippo Negri, CEO e cofounder di Glickon. “Si può disegnare questo nuovo mondo in maniera sostenibile solo con una nuova intelligenza, una combinazione di tecnologia e sapere umanistico. Intelligenza artificiale, algoritmi di Natural Language Processing, tecniche di Sentiment Analysis, insomma tutto quello che, attraverso la tecnologia, sembra portarci più lontano dalla realtà e dalle persone paradossalmente sarà la merce più preziosa per renderci capaci di guardare al lavoro a partire dalle cose più semplici, come le storie personali di ciascuno di noi”.

Formazione contro la crisi: un valore inestimabile

Lavoro e formazione, mai come in questo momento storico vanno a braccetto. La formazione contro la crisi: per molti la formazione continua rappresenta il modo migliore per potersi sempre trovare pronti nel momento in cui per volere o per necessità si è costretti a cambiar lavoro, anche radicalmente. Ecco perché sono tanti i professionisti che, all’occorrenza, si sentirebbero pronti ad un grande salto.

Formazione: un bagaglio di valori indispensabili

Quello formativo è un bagaglio di cui la grande maggioranza degli italiani sente di disporre: l’85% dei lavoratori del nostro paese dichiara di aggiornare regolarmente le sue competenze, 4 punti in più della media globale (ben sopra i tedeschi, 73%, i francesi, 70%, e gli inglesi, 73%). E l’86% ritiene oggi, nel pieno della pandemia, di possedere le competenze necessarie per trovare impiego in un’altra azienda o in un altro settore, più di tutte le persone tra i 45 e i 54 anni (che sfiorano il 90% di risposte). Quasi 8 lavoratori su 10 (79%), inoltre, affermano di disporre delle apparecchiature e delle tecnologie necessarie per affrontare la trasformazione digitale del lavoro, con una discreta omogeneità di genere e di età. Mentre solo il 38% dei dipendenti ha giudicato “difficile” acquisire nuove competenze per adattarsi al lavoro durante l’emergenza Covid-19. Questi sono alcuni risultati del Randstad Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro di Randstad, primo operatore mondiale nei servizi HR, che ha analizzato la percezione dei lavoratori su competenze professionali e ambiente di lavoro durante la pandemia. Una ricerca condotta in 34 Paesi del mondo su un campione di oltre 800 dipendenti di età compresa fra 18 e 67 anni per ogni nazione.

Per gli italiani, la responsabilità della formazione è del datore di lavoro, dato indicato dal 50% degli intervistati (22 punti in più della media globale). Solo per il 33% questa responsabilità è condivisa tra dipendente e datore di lavoro, la visione più diffusa nella media globale (51%). Per il 16% è principalmente dei dipendenti (e per l’1% dei sindacati). Allo stesso modo, quasi metà dei lavoratori (47%) assegna al datore di lavoro anche la responsabilità di riqualificare i dipendenti nel caso restassero disoccupati a causa della crisi Covid-19, per favorirne la rioccupabilità; solo in minor misura chiamano in causa il governo (24%), i dipendenti stessi (21%) o i sindacati (8%).

Dallo studio emerge una grande unità d’intenti e appoggio da parte dell’impresa: durante la pandemia il 66% dei lavoratori ha avvertito un sostegno mentale ed emotivo da parte del datore di lavoro (giudizio omogeneo per genere, ma più sentito fra i più giovani, tra i quali arriva al 70%). Con una preoccupazione per il futuro: nel mondo che verrà dopo la pandemia, circa metà dei dipendenti italiani (51%) pensa che i datori di lavoro avranno difficoltà a trovare talenti adatti per le esigenze aziendali.

“È importante che dal campione delle persone coinvolte nella ricerca sia stata riconosciuta la centralità della formazione come strumento di crescita personale e di risposta alla crisi – afferma Fabio Costantini, COO di Randstad HR Solutions –. Ed è un segnale di fiducia per il futuro il fatto che due lavoratori su tre affermino di disporre già di una robusta e sufficiente preparazione per affrontare gli imprevisti. Ma questa è anche una responsabilità, per tutti. Nel pieno della pandemia, è fondamentale che le aziende mettano al centro processi di upskilling e reskilling come strumento di crescita e riqualificazione della forza lavoro, oltre che come sostegno ai percorsi di transizione di carriera che dovessero rendersi necessari. E in una fase di allungamento della lavorativa, nel pieno della trasformazione digitale, è fondamentale che venga anche dagli stessi lavoratori l’impegno alla manutenzione, all’aggiornamento e alla riqualificazione costante delle proprie competenze”.

La formazione è un valore assoluto

La formazione, secondo i lavoratori, è l’elemento più importante per giudicare gli sforzi di un datore di lavoro nel creare un ambiente inclusivo: l’impegno all’aggiornamento della forza lavoro è al primo posto in classifica con il 36% di preferenze, seguita dalla creazione di una forza di lavoro diversificata (34%), dalla creazione di ambiente e spazi di lavoro inclusivi (30%), dall’incoraggiamento dei gruppi di risorse (28%) e dalla presenza di posizioni di leadership di persone provenienti da contesti differenti (24%). A seguire vengono la responsabilità sociale d’impresa sotto forma di donazioni o raccolte fondi, la collaborazione con organizzazioni senza scopo di lucro, la pubblicità delle politiche sull’inclusività, la pubblicità del datore di lavoro e – in ultimo, poco considerate – le giornate di volontariato dei dipendenti.

In linea con la media globale, però, gli italiani apprezzano l’ambiente di lavoro che la loro impresa ha saputo costruire: mediamente il 77% lo ritiene “inclusivo” (contro l’80% nella media globale), una percezione omogenea tra uomini e donne (78% e 76%), ma più sentita dai lavoratori della fascia 35-44 (83%). Un ecosistema in cui spesso aspettative e realtà collimano: per i lavoratori la propria azienda ha dimostrato in modo efficace di essere inclusiva negli sforzi per la formazione nel 36% dei casi (completa simmetria rispetto alle attese), nella creazione di una forza di lavoro diversificata (29% di risposte), in un ambiente e uno spazio di lavoro inclusivi (20%), nell’incoraggiare i gruppi di risorse o inserendo leader provenienti da contesti differenti entrambi (nel 19%).

“L’inclusività è un elemento sempre più sentito come ‘bene comune’ dalle persone, un fattore chiave per il benessere lavorativo, ma anche la crescita e lo sviluppo – commenta Costantini -. Le organizzazioni italiane negli ultimi anni hanno compiuto grandi passi avanti in questo ambito e oggi c’è attenzione alla creazione di ambienti, spazi, gruppi di lavoro inclusivi. Ma è necessario un ulteriore progresso in termini di ‘democrazia aziendale’ affinché ambiente e persone si riflettano pienamente l’uno nell’altro”.

Cambiare il proprio lavoro: la necessità di acquisire nuove skills con i corsi di formazione online e on demand

L’estate, il Covid-19, i grandi cambiamenti che stiamo vivendo, le aziende che modificano i propri protocolli lavorativi, potrebbero indurre qualcuno a pensare di cambiare il proprio lavoro. Impresa ardua sicuramente, soprattutto dopo una certa età, ma non impossibile. La parola d’ordine in questi casi è una sola: aggiornamento professionale.

Pensare di mettersi a studiare, dopo “i 40” può risultare difficile per qualcuno, eppure l’aggiornamento professionale può risultare la chiave di volta per raggiungere risultati migliori e più duraturi. Ovviamente una costante formazione e una disponibilità ad ampliare le proprie conoscenze, non è utile solo per chi il lavoro lo vuole cambiare, ma anche per chi vuole fare uno scatto in avanti, un passo per richiedere, magari, una promozione.

Corsi di aggiornamento online e on demand

Il problema del tempo in tutto questo non è di poca rilevanza. Perché a meno che non si disponga di risorse economiche tali da poter serenamente affrontare una nuova formazione lavorativa, senza essere impegnati in altro, la vita continua a girare intorno a noi e le scadenze devono essere rispettate: ecco perché la strada migliore da percorrere potrebbe essere quella di frequentare corsi di aggiornamento online, sia in diretta che in modalità on demand.

Come funzionano i corsi di aggiornamento online e on demand

Il web è una risorsa essenziale per tutti noi al giorno d’oggi, anche per capire quali sono le tendenze e le richieste del mercato del lavoro. Ci reputiamo ottime risorse professionali, ma spesso non riusciamo, obiettivamente, a renderci conto che le nostre skills, maturate in anni di lavoro, non sono sufficienti ad affrontare il nuovo mondo degli affari e del business. Ecco perché dobbiamo essere in grado di migliorarci continuamente, senza sosta, magari sfruttando la possibilità di frequentare corsi professionali online o on demand. Facendo una ricerca sul web ci si rende conto di quante opportunità ci siano e sono tutte a disposizione: alcuni corsi sono gratuiti, altri sono a pagamento e ci sono davvero per tutte le tasche. Una volta iscritti è possibile seguire le lezioni direttamente dal proprio device, o a orari stabiliti, oppure attraverso l’on demand. Ovviamente quelli “in diretta” possono prevedere anche una interazione tra i tutor e i partecipanti. Tutto molto semplice, tutto accessibile. Basta volerlo. Il mondo del lavoro ha bisogno di persone in grado di evolversi, migliorare, crescere e questi corsi di formazione sono il metodo perfetto per far sì che tale sviluppo avvenga in tempi brevi. Infatti sono corsi solitamente non lunghissimi, che permettono in alcuni casi anche di ricevere attestati riconosciuti.

Una volta terminato il corso, si avrà la possibilità di annoverare nel proprio curriculum vitae, una nuova skill che sicuramente lo renderà più appetibile e più consono ai tempi che viviamo. Tempi di cambiamento e grandi trasformazioni.

Come scrivere un curriculum vitae

Se non sai come scrivere un buon curriculum vitae in questo articolo troverai le risposte che ti servono ed anche un semplice modo per risolvere definitivamente la questione. Mettiti comodo per capire alcune nozioni base e per realizzare un curriculum vitae perfetto.

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