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Affrontare un colloquio di lavoro: 5 consigli utili per fare una buona impressione

Affrontare un colloquio di lavoro non è mai facile. Di fronte abbiamo nella maggior parte dei casi persone che non conosciamo a cui, in pochi minuti, dobbiamo offrire di noi un’immagine quanto più professionale possibile e presentare al meglio le nostre competenze.

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I trend del mercato del lavoro in Italia: ecco le professioni più richieste. In Lombardia c’è tanto bisogno di lavoratori

Quali sono i trend del mercato del lavoro in Italia? Chi cerca cosa? Domande non semplice alle quali rispondere in un momento storico come questo in cui ci sono molte realtà produttive in grande ripresa ed altre che ancora sono rimaste indietro ed in grande difficoltà.

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Indagine Trend Mercato del Lavoro 2023 di Infojobs: le 5 tendenze che vanno considerate

Delineare prospettive future e trend del lavoro del nuovo anno: questo è l’obiettivo dell’Indagine Trend Mercato del Lavoro 2023 realizzata da InfoJobs.

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Quali sono le professioni più richieste? Ecco le tendenze nel mondo del lavoro

Quali sono le tendenze nel mondo del lavoro? Quali sono i professionisti più richiesti? Come ogni anno, InfoJobs, la piattaforma italiana per la ricerca di lavoro online, ha analizzato l’andamento del mercato del lavoro con l’Osservatorio Mercato del Lavoro 2022.

I risultati dell’Osservatorio Mercato del Lavoro 2022

Cominciamo un dato essenziale: lo scorso anno sono state quasi 410.000 le offerte di lavoro pubblicate dalle aziende nei dodici mesi su InfoJobs, facendo registrare un -10,3% rispetto al 2021. Un dato che deve far riflettere questo.

Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs, ha commentato così i dati dell’Osservatorio. “Il 2022 è stato un anno complesso e articolato, segnato da scenari economici, sociali e geo-politici che, come ovvio, hanno plasmato l’andamento del mercato del lavoro. Il secondo semestre, dopo i primi sei mesi di sostanziale continuità con un 2021 in ripresa, è stato caratterizzato da una contrazione delle nuove opportunità gestite tramite i classici annunci di lavoro, a favore di attività di ricerca più mirate. Assistiamo infatti a un importante aumento di oltre il 40% delle aziende che preferiscono attivare strumenti di ricerca che consentano di selezionare il candidato ideale nel nostro database di oltre 6,5 milioni di profili”.

Da dove arrivano le offerte di lavoro?

La Lombardia continua ad essere la Regione con la maggiore offerta, con il 32% del totale nazionale. A seguire troviamo l’Emilia-Romagna (17%). Subito dopo ci sono il Veneto (13%) al terzo posto, il Piemonte (9,3%) al quarto e, a chiudere la top 5, la Toscana, a pari merito con il Lazio (entrambe le regioni con il 6%).

Per quanto riguarda le singole province,  guida Milano in cui si concentra il 12,4% delle offerte. Al secondo posto Torino con il 5,2% (provincia in leggera crescita rispetto al 2021 con un +1,2%), mentre Roma, con il 5% è terza. Al quarto posto Bergamo e Brescia con il 4,2% a parimerito, al quinto posto Bologna con il 4% scende di due posizioni rispetto al 2021. Ad abbandonare la top 5 Modena (3,2%) e Verona (3%) che nel 2021 occupavano insieme la 5ª posizione.

Quali sono le categorie professionali più richieste? 

Anche in questo caso, non ci sono particolari novità rispetto allo scorso anno: Operai, Produzione e Qualità mantiene il primato (24,5%), seguita al secondo posto da Acquisti, Logistica e Magazzino (10,4%), mentre al terzo troviamo Amministrazione, Contabilità e Segreteria (9%). 

Osservatorio 2023 Infojobs

La classifica delle professioni più richieste

Sulla base delle risultanze dello studio, Infojobs ha creato una classifica delle professioni più richieste. Ve la riportiamo per intero:

professioni più richieste dalle aziende. Questa la Top10:

1 Magazziniere

2 Addetto Vendita

3 Agente di Commercio

4 Operaio di produzione 

5 Addetto all’imballaggio

6 Specialista di Back Office

7 Addetto alla pulizia camere

8 Consulente di gestione aziendale

9 Addetto alla fatturazione

10 Operatore di macchine cnc

“La rilevanza degli strumenti digitali per il mercato del lavoro è confermata dall’evoluzione delle aziende nella consultazione del database. Quando le aziende sono orientate alla ricerca mirata del miglior talento, accanto al classico annuncio di lavoro scelgono sempre più spesso strumenti che riescano a garantire una maggiore velocità ed efficacia dei processi di selezione”, commenta Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs. “Nel nostro ruolo di facilitatori dell’incontro tra aziende e candidati, suggeriamo da sempre ai nostri utenti di avere un curriculum aggiornato e completo, che è il miglior biglietto da visita che apre le porte anche a inaspettati nuovi traguardi professionali”.

Gentilezza? Una soft skill nel mondo del lavoro da tenere in considerazione

La gentilezza come soft skill per il lavoro? La risposta è sì. Secondo una ricerca di Infojobs, per 8 italiani su 10 la gentilezza dovrebbe far parte delle “soft skill” da inserire nel cv, oltre ad essere un elemento di cui tener conto in fase di selezione.

Per il 96% degli intervistati la gentilezza è un fattore che può determinare un aumento della produttività. In particolare, se è il capo ad essere gentile, si crea un clima più sereno e questo fa ottenere il massimo dalle persone, che si sentono più motivate e responsabilizzate (lo ha detto il 93% delle persone intervistate).

Dunque, la gentilezza come soft skill può favorire lo sviluppo di un maggior spirito di squadra e incrementare la collaborazione. Premiare i risultati e non scaricare le colpe in caso di insuccessi, oltre alla capacità di ascoltare i bisogni del proprio team sono elementi vincenti per una leadership destinata ad avere successo.

13 novembre: Giornata Mondiale della Gentilezza 2022

In occasione della Giornata Mondiale della Gentilezza 2022 InfoJobs ha affrontato il tema con Burabacio, aka Sabrina Ferrero, illustratrice e autrice che attraverso i suoi profili social condivide spunti e pensieri sull’importanza della gentilezza, in tutti i momenti della vita. Dal 2018 ha instaurato una sua vera e propria rubrica, “Sii Gentile”, nella quale invita i suoi followers a compiere piccole azioni gentili alla portata di tutti.

Da questa iniziativa deriva l’idea del Manifesto “Gentilezza sul lavoro: Mission Possible” per raccontare quanto basti poco a renderla una missione possibile grazie ad alcuni semplici spunti. Ecco i 10 punti:

1. Saluta quando entri o esci da un posto di lavoro. Esagera chiedendo: “come va?” e ascolta la risposta!

2. Aiuta un collega: meno competizione e più collaborazione uguale si lavora meglio!

3. Offri un sorriso e, se vuoi strafare, anche un caffè!

4. Mettiti nei panni di un tuo collega per 5 minuti (vale anche per un cliente, un dipendente, un superiore). Scoprirai che è un essere umano, anche se a volte non sembra.

5. Conta fino a 10 prima di parlare quando la situazione è tesa. Parla bene, comunica meglio!

6. Cerca la soluzione e non l’assoluzione o il capro espiatorio.

7. Festeggia i traguardi raggiunti tuoi e altrui. Si lavora meglio quando i nostri meriti vengono riconosciuti.

8. Stabilisci un tetto massimo per le lamentele quotidiane: 10 minuti? 15 minuti? Il restante tempo usalo meglio!

9. Usa le parole: “per favore” “scusa” e “grazie” sul lavoro. Per un ambiente lavorativo gentile usa parole gentili.

10. Fai notare un talento a chi lavora con te o per te. Perché far notare solo i difetti? E se proprio devi farlo critica l’idea o il progetto e non la persona.

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Tenere e attrarre talenti in azienda: il salario è importante, ma non è l’unico fattore

Il mito del posto fisso? Le aziende italiane vogliono attrarre (e mantenere) i propri talenti. Secondo uno studio di Infojobs, per il 41,1% delle aziende la sfida da vincere in questo momento è quella di attrarre e trattenere i talenti, per riuscire ad essere competitivi in un mercato davvero impegnativo, che viene da due anni e più di pandemia. Questo il dato più interessante dell’indagine InfoJobs Trend HR 2022 (realizzata fra dicembre 2021 e gennaio 2022 su un campione di 180 aziende attive sulla piattaforma, in tutta Italia).

I programmi delle aziende per essere competitive

Dall’Indagine InfoJobs Attraction & Retention (svolta, invece, fra giugno e agosto 2022 su un campione di 208 aziende attive sulla piattaforma, in tutta Italia e 1334 candidati, dai 18 anni in su) è arrivata la conferma anche da parte delle PMI. Nei primi sei mesi di quest’anno, il 60,1% delle aziende italiane ha riscontrato un numero maggiore di dimissioni rispetto al 2021, contro un 34,1% che non ha notato differenze ed una piccola parte (5,8%) che invece sostiene che le difficoltà del mercato del lavoro abbiano ridotto il numero dei dimissionari.

Quali sono i motivi di questo fenomeno? Secondo gli HR sono diversi i fattori che hanno inciso. Anzitutto,una nuova consapevolezza delle priorità e un ritrovato coraggio di cambiare lavoro per seguire aspirazioni e desideri da parte dei professionisti (30,3%) e, per il 29,8%, la ricerca di nuove opportunità di carriera e di un miglior bilanciamento tra vita privata e professionale, soprattutto da parte dei giovani. In che modo hanno risposto le aziende a questa nuova tendenza? C’è da rilevare che è ancora alta la percentuale di aziende (30,4%) che dichiara di non intraprendere azioni concrete per trattenere i talenti, anche se, la maggior parte (69,6%) afferma, invece, di avere programmi ad hoc. Prima tra tutte con il 45,9%, è previsto il pacchetto welfare aziendale: formazione continua e per tutti, lavoro agile, benefit e percorsi di crescita; seguono l’impegno per un modello organizzativo meno gerarchico e più partecipativo (37,6%), percorsi di carriera chiari e concreti (33,8%), percorsi di formazione professionale (33,1%), e, infine, attività di team finalizzate alla costruzione di un clima collaborativo e di fiducia (27,1%). 

Chi non ha programmi per attrarre talenti dichiara di avere all’attivo azioni per trattenerli: il 73,4% sta lavorando affinché a breve vi siano soluzioni per tenere maggiormente ingaggiati i dipendenti. E mentre il 17,9% ne sottolinea il fattore economico, in questo momento non sostenibile dall’impresa, solo l’8,4% non ritiene necessario adoperarsi per i talenti già presenti in azienda. Chi invece vuole attrarre talenti punta su un percorso di carriera concreto (44,5%), flessibilità oraria e  possibilità di lavorare in smart working (26,6%), formazione professionale gratuita, che va dalle lingue al tech (24,2%), infine pacchetti welfare per dipendenti e familiari (21%) e stipendi sopra la media e benefit in senso ampio, dal parcheggio ai buoni pasto (18%). 

Secondo gli HR intervistati, per sottrarre talenti si utilizza in primis il fattore economico (60,2%), seguito dalla prospettiva di un migliore equilibrio vita privata-lavoro (17,2%), una reale possibilità di carriera (11,7%) e il caring dei dipendenti (10,9%). 

Cosa ne pensano i lavoratori

Secondo lo studio, c’è da registrare un generale malcontento: infatti, l’80,9% dei rispondenti non consiglierebbe a un amico/conoscente, che svolga un lavoro simile al proprio, l’azienda per la quale lavora a causa dell’ambiente di lavoro poco stimolante (52,1%) o di stipendio e benefit poco soddisfacenti (28,8%).

Per il 66,7% dei dipendenti rispondenti non si sente valorizzato dalla propria azienda, contro un 27% che, seppur apprezzi i riconoscimenti dell’azienda, pensa che il datore di lavoro possa e debba fare di più per i propri dipendenti. 

La situazione difficile è dovuta in primis dalla sensazione di non vedere un giusto percorso di crescita professionale, soprattutto quando si assiste alla decisione di assumere risorse esterne all’azienda anziché promuovere e valorizzare le potenzialità di quelle interne (37,6%). Il 27,5% evidenzia le possibilità di crescita non per tutti, quindi riservate esclusivamente a particolari figure professionali, ma uno speranzoso 12,5% prevede maggiore attenzione per questa tematica nel prossimo futuro. Di contro c’è chi percepisce l’impegno dell’azienda nel fornire possibilità di carriera e percorsi di formazione, ma ne lamenta la poca comunicazione interna (16,3%), solo il 6,1% riconosce all’azienda il suo impegno nel proprio percorso di crescita professionale interno in azienda.

Dipendenti e aziende sono d’accordo su un aspetto: la parte economica ancora oggi continua ad avere un peso rilevante nelle scelte. Il 52,7% infatti conferma che la propria soddisfazione migliorerebbe a fronte di un salario più adeguato alle competenze e in crescita nel corso degli anni, parallelamente a un percorso di carriera ben sviluppato. 

La visione del futuro

Come si ipotizza possa evolvere la situazione nei prossimi 5 anni? I candidati si vedono impegnati nella ricerca del nuovo, spinti dalla voglia di imparare e di crescere (41,7%), o nei panni di imprenditore o di chi ce l’ha fatta a raggiungere il proprio sogno professionale da dipendente (37,2%), o ancora in un’azienda più affine alle proprie caratteristiche, nonostante il lavoro attuale piaccia (13,2%), mentre solo il 7,9% si vede nella stessa azienda, di cui apprezza l’ambiente di lavoro e l’attenzione ai dipendenti, ma in una posizione di maggiore responsabilità.

Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs, afferma: “In un mercato fortemente competitivo e attraversato dal cambiamento, la capacità di essere attrattive per i nuovi potenziali collaboratori e per i dipendenti deve essere considerata dalle aziende tra le principali leve strategiche per la crescita. Gli investimenti sulle persone, pertanto, hanno assunto una rilevanza centrale. Non più, o non solo, una retribuzione soddisfacente, ma anche prospettive di crescita, formazione e visione strategica della dimensione futura, unite a un buon bilanciamento tra vita lavorativa e privata. Dal nostro punto di vista di realtà che unisce domanda e offerta, crediamo che l’attuale momento storico rappresenti una grande opportunità per la costruzione di modelli di collaborazione e ambienti di lavoro che rispondano efficacemente alla nuova sensibilità e alle sfide del futuro di tutte le parti sociali”.

Valutazioni delle risorse umane aziendali: come sono cambiati i parametri

Come sono cambiate le valutazioni delle risorse umane all’interno delle aziende? Per rispondere a questa domanda InfoJobs, tra le principali piattaforme per la ricerca di lavoro online, ha interpellato gli HR delle aziende clienti su tutto il territorio nazionale (indagine realizzata da InfoJobs a giugno 2021 su un campione di 112 aziende di cui il 58% con meno di 50 dipendenti, il 28% tra 51 e 500, il 14% oltre 500), la maggior parte delle quali sotto i 50 dipendenti.

I risultati del sondaggio

Il primo dato che emerge è che le aziende non hanno cambiato, rispetto al passato, le loro tradizionali modalità di valutazione delle risorse (65,2%), in quanto vengono considerate ideali per il business di riferimento. Ma sono cambiati i parametri di valutazione: nella nuova normalità la voce fondamentale è l’autonomia nella gestione del lavoro (31,8%), seguita dalla capacità di ideare e integrare nuove modalità di comunicazione dei risultati (27,3%), ma anche nuovi modi di condividere e fare squadra (22,7%), soprattutto nel nuovo contesto di lavoro agile.

Come vengono valutate le risorse umane in azienda?

Il metodo più usato resta il colloquio periodico (79,4%) che permette di scambiare opinioni in un confronto diretto, cui si affianca un questionario (27,9%) o da una scheda riassuntiva a cura del valutatore (19,1%). È invece ancora poco utilizzato (10,3%) il sistema gestionale online, che permette di affidarsi a uno strumento esterno, oggettivo e strutturato.

La valutazione viene affidata in genere al diretto responsabile/manager in linea gerarchica (35,3%), ma anche a più figure (23,5%) tra cui top management e a volte un consulente esterno. 

Il coinvolgimento diretto e attivo del professionista è ancora poco utilizzato: solo il 32,4% dei rispondenti dichiara di avere in piano un percorso di autovalutazione per tutte le figure aziendali, l’8,8% lo prevede solo per il top management, mentre oltre la metà delle aziende dichiara di preferire solo la valutazione top down (58,8%). 

Tali verifiche vengono generalmente svolte una volta l’anno (30,9%) oppure su richiesta della risorsa (26,5%) anche se, a detta delle aziende rispondenti, l’ideale sarebbe un percorso continuativo di monitoraggio progressivo (30,9%), o almeno una cadenza trimestrale (26,5%).

Quali sono i valori più apprezzati in azienda?

La risposta è scontata: il raggiungimento dei risultati di business prefissati è fondamentale (57,4%) e a esso fa seguito la capacità di innovare e la flessibilità nell’adattarsi a richieste e cambiamenti (42,7%). Il rispetto delle skills richieste dal relativo livello professionale, in una scala gerarchica, è al terzo posto (29,4%). 

Cosa conta di meno? La risposta è il “cartellino”, ovvero le ore passate sul posto di lavoro non sono determinanti (39,7%), così come non è ormai importante il luogo dove viene eseguito il lavoro (33,9%).

La propensione delle aziende a investire ancor di più in formazione è un segnale molto importante: il 72% ha potenziato l’offerta formativa per i dipendenti, rafforzando l’offerta dei corsi già a disposizione (35,4%) che quindi sono risultati vincenti, o sviluppato la modalità e-learning grazie a partnership e accordi con enti formatori (27,1%).

“Il periodo che ci stiamo lasciando alle spalle ha cambiato per molti le modalità di lavoro e gli assetti del lavoro tradizionale.” – commenta Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs – “Questo mutato contesto sta cominciando ad avere effetti sulle aziende e a creare nuove necessità, come un’evoluzione dell’analisi della performance. Un passaggio non semplice né immediato, che richiede innanzitutto un attento studio delle nuove priorità dell’azienda: sapendo quali sono gli obiettivi di business, possiamo capire quali sono le risorse realmente performanti o come fare per renderle tali”.

Lavorare da casa? Ora i nostri familiari ci comprendono di più…

Lavorare da casa ha cambiato le nostre abitudini certamente ma anche il modo di relazionarci con le altre componenti della nostra famiglia. L’Indagine InfoJobs, la piattaforma n.1 in Italia per la ricerca di lavoro online, diffusa oggi racconta la nuova normalità attraverso le risposte di oltre 5.000 utenti (realizzata a maggio 2021 su un campione di 5.395 candidati).

I dati dell’Indagine Infojobs

Il primo dato che salta subito all’occhio è cheil 63,6% degli Italiani ha condiviso con familiari e/o conviventi momenti di smart working durante gli ultimi 12 mese,sia perché si è direttamente sperimentato il lavoro agile o perché lo ha fatto chi vive nella stessa abitazione.

Aver vissuto insieme a familiari o coinquilini la quotidianità professionale ha contribuito a far comprendere maggiormente lavoro dei suddetti, o perché si sono capite cose che prima proprio non si sapevano del lavoro altrui (30%) o perché prima di questa “prova” ci si immaginava una realtà professionale molto diversa da quella reale (15,4%).  Di contro, per il 28,8%, la vita lavorativa è stata invece confinata senza osmosi con quella privata, complici gli spazi molto ben separati..

In tutto questo però lo studio ha messo in evidenza le capacità professionali e il valore delle persone care nel luogo di lavoro (36%), poter rispondere finalmente alla domanda: “ma tu… alla fine, che lavoro fai?” (26,7%), o semplicemente comprendere motivi di stress da lavoro e preoccupazioni che chi vive con noi manifesta (20,5%), così come le dinamiche interne e le relazioni con i colleghi (16,8%). In pratica ora sembra ci sia una maggiore comprensione e condivisione di intenti, soprattutto nei momenti di difficoltà e tensione.

Certamente tutto ciò ha avuto un impatto sui rapporti interpersonali: per il 31,5% ha permesso di avere più tempo da trascorrere insieme, riuscendo a conciliare le esigenze e facendo cose prima irrealizzabili, come per esempio pranzare insieme o fare colazioni a prova di spot tv. La nuova normalità ha creato un terreno fertile per nuovi argomenti di confronto e scambio (21,7%), ma ha anche rafforzato la complicità (21,3%). Ovviamente in tutto questo c’è anche un lato negativo: per il 19% la gestione degli spazi è stata resa decisamente complessa.

Complessità che si manifestano in particolare (44,4%) nella difficoltà di godere in libertà dello spazio domestico senza timore di presenziare inconsapevoli nelle videocall altrui o di disturbarle con i “rumori della vita” in sottofondo. Per il 28,9% il problema maggiore è stata la necessità di organizzare chirurgicamente tempi e spazi per non intralciare o intralciarsi. Potrebbe, infine, sembrare che i litigi e le discussioni lavorative impattino con più facilità la vita privata quando entrambe sono sotto lo stesso tetto, ma è di questa opinione solo il 9,6%. 

Al contrario, il connubio lavoro-vita privata ha fatto sì che il 35% delle persone abbia supportato partner/familiari o coinquilini a districarsi su temi lavorativi. Il parere è stato richiesto soprattutto per trovare un’idea (24,6%), magari in una estremizzata logica out-of-the-box che diventa coinvolgere un familiare anziché un collega! E proprio il collega o il capo non sanno che se i rapporti lavorativi sono migliorati è grazie ai consigli del partner/familiare/convivente del collega (22,4%). E per le “prove” fatte in casa prima di presentare un lavoro al proprio boss? Utilissimo per il 20,4% delle persone. D’altra parte, invece, per il 33,4% il lavoro è un argomento tabù e non se ne discute in casa. Il dato finale è comunque incoraggiante: il supporto “da casa” per un tema di lavoro c’è stato, ha portato buoni frutti per il 68%! Pensate un po’…

Tirando le somme dell’esperienza vissuta e valutando l’opzione casa-lavoro per il futuro, il 40,8% è d’accordo sul mantenerla ogni tanto, ma con cautela,mentre un no categorico e il countdown per il ritorno della vista professionale rigorosamente fuori casa arriva dal 37,4%. Un “sì” deciso per l’alleanza perenne casa-lavoro è invece espresso dal 21,8%

16 aprile: Giornata del Pigiama in Ufficio. Come vi vestite per lavorare da casa?

Giacca, camicia e cravatta sopra, pantalone del pigiama sotto. Voi come vi vestite per lavorare da casa? Quanti di voi hanno svolto almeno una volta nel ultimi mesi un meeting di lavoro online, conciati in questo modo? InfoJobs, la piattaforma tra le più importanti per la ricerca di lavoro online, ha interrogato sul tema i suoi utenti in occasione della Giornata del Pigiama in Ufficio (16 aprile), con l’obiettivo di regalare un po’ di leggerezza in questo momento difficile, scoprendo quali siano le tendenze, in termini di outfit, delle persone che affrontano ogni giorno riunioni, briefing e chiusure di accordi commerciali direttamente dalle mura domestiche, ma non solo!

Lavorando in molti da casa, l’outfit comodo è certamente un must, ma ci sono occasioni che richiedono comunque una certa formalità nel vestire, anche a distanza. E poi ci sono gli irriducibili dello stile che, anche se si trovano nel soggiorno e nella cucina del proprio appartamento, sono comunque vestiti di tutto punto.

A spiccare tra i dati emersi dalla survey è proprio il dato che attesta un forte incremento dell’attività professionale in modalità agile, rispetto all’indagine condotta a marzo 2020: quasi il 40% del campione nel 2021, rispetto al 15% nel 2020, afferma di lavorare almeno parzialmente da casa, a testimonianza di un fenomeno che coinvolge ormai sempre più persone da nord a sud.

Il 58,2% dei rispondenti è organizzato con postazione dedicata pronto a gestire ogni sfida lavorativa, anche se l’8,5% non disdegna il divano e addirittura un 4% gestisce mail e progetti comodamente dal letto, tra cuscini e piumone! Il 29% non ha una postazione di lavoro fissa, vince uno spirito nomade casalingo con una forte predilezione per tavoli e scrivanie magari a scomparsa.

Come vestono gli italiani per lavorare in casa?

Per il 65,9% vince la comodità, l’outfit sportivo che premia il comfort è l’ideale per gli smart workers, seguito a grande distanza dal 15% che opta per l’opzione pigiama h24! Rimane un 17,3% che non ha modificato il suo stile a causa del cambio location lavorativa econtinua a vestirsi come sempre

Ovviamente il momento più delicato è quello dei meeting in videocall e la scelta dipende dalle opzioni che richiede lo stesso. I dati evidenziano un testa a testa fra gli irremovibili dello stile e quelli che si concedono qualche libertà: per il 32,6% è una questione di stile, solo outifit completo scarpe comprese, il 34,5% propone un mezzo busto elegante, ma sotto largo a pigiama e ciabattone, percentuale che cresce per i follower IG di InfoJobs raggiungendo il 61% a discapito del 39% che non rinuncia all’outfit completo! Resta poi un 20,6% che ormai non fa più caso a cosa indossa, complice la situazione attuale che permette di uscire solo per un cambio stanza e la nuova normalità delle videocall, che ormai si usano per qualsiasi cosa, dal caffè con i colleghi alla riunione del CdA aziendale. A questo proposito, c’è anche chi prende una posizione netta: elegante con capo e clienti, pigiama o tutona con colleghi (7%). 

Ma la produttività ha una dipendenza diretta dall’outfit? Per il 69% degli intervistati, il modo di vestire non incide sulla produttività e quindi non è l’abbigliamento indossato a determinare il proprio grado di professionalità, mentre il 31% crede che l’aspetto curato motivi maggiormente ad affrontare la giornata lavorativa anche se non necessariamente in ufficio.

Su questo argomento il parere contrastante arriva dagli intervistati InfoJobs tramite il proprio canale IG, dove la maggioranza (52%) sostiene il contrario e che l’abbigliamento abbia inevitabilmente un impatto sulla produttività, mentre il 48% dichiara non vi sia assolutamente un nesso tra abbigliamento e produttività.

Outfit e lavoro

Non tutti però hanno la possibilità di svolgere il proprio lavoro in modalità agile, quindi l’indecisione davanti all’armadio rimane un punto cruciale per molti, soprattutto per chi non ha vincoli che regolamentano l’outfit, come il 44,7% per il quale però non deve mai mancare il buon senso e il decoro. Massima libertà per il 25,8% che può dar sfogo alla propria creatività, non limitando colori e abbinamenti ed essere sempre al passo con le mode del momento!

Divieti e limiti per il 29,6% che invece è legato a una divisa e non può esprimersi liberamente con il proprio look. E se proprio non è possibile aver agio sull’abbigliamento, si punta tutto sugli accessori! Tra quest’ultimi il portafortuna è rappresentato dal 19,6% degli intervistati che possiede un accessorio o un capo e lo indossa anche a lavoro, l’8,5% dichiara invece di possedere un oggetto prezioso, ma destinato solo alle occasioni lavorative importanti.

Infojobs: ecco le 10 professioni più richieste nel 2020

Il mercato del lavoro cambia con una velocità impressionante. La parola d’ordine è adeguamento. I più pronti stanno trovando nuovi sbocchi professionali, altri rimangono indietro. A fare un po’ di luce sulla situazione, arrivano i dati dell’Osservatorio sul Mercato del Lavoro 2020 che InfoJobs, piattaforma leader per la ricerca di lavoro online, realizza per capire l’andamento del lavoro nel nostro Paese. I risultati evidenziano che sono state 366.000 le offerte di lavoro pubblicate, dato che corrisponde a un calo del -24,8% anno su anno. Una chiusura d’anno migliore rispetto al -32,5% del primo semestre, ma comunque indice di un forte rallentamento.

Filippo Saini, Head of Job di InfoJobs commenta così l’Osservatorio Mercato del Lavoro 2020: “Come InfoJobs abbiamo un punto di vista privilegiato sul mondo del lavoro e sulle dinamiche connesse. I dati che sono emersi dalle nostre analisi confermano l’evidente periodo di sofferenza, ma anche l’impegno e la voglia delle aziende e dei candidati di non cedere. Quasi 10000 aziende e oltre 6 milioni di candidati si sono affidati a noi in questo anno difficile, per trovare il candidato ideale o il posto di lavoro giusto per loro. Il 2021 inizia in salita, con il perdurare dell’incertezza sanitaria cui si aggiunge quella normativa legata a licenziamenti e ammortizzatori, per questo come InfoJobs stiamo lavorando per favorire ancora di più il matching tra candidati e aziende, attraverso la piattaforma ma anche con iniziative ad hoc come la revisione gratuita del CV per i nostri iscritti”. 

Le Regioni d’Italia più attive

In testa alla classifica spiccano per offerte di lavoro la Lombardia, che rappresenta nel 2020 il 32,4% del totale nazionale delle richieste, con Milano che si conferma la città italiana dove la ricerca delle aziende è più attiva. Al secondo posto tra le regioni si posiziona l’Emilia-Romagna (16%), cui fanno seguito Veneto (14,3%), Piemonte (8,8%) e Toscana (6,3%) che per la prima volta sorpassa il Lazio, in sesta posizione (6,2%).

Guardando alle provincie, oltre a Milano che primeggia con il 13,1% delle offerte malgrado il lockdown, la top 10 delle città con maggior numero di offerte vede una concentrazione geografica in gran parte a nord-est. Il secondo e terzo posto sono occupati da Roma e Torino, al quarto posto si posiziona Bergamo, al quinto Bologna, al sesto Brescia, che si differenziano per poche centinaia di offerte, seguono al settimo Padova, all’ottavo Treviso, al nono Verona e al decimo Vicenza, anche qui con una differenza davvero risicata. Poco fuori dalla top 10, al 13° posto ma unica che registra un valore di crescita importante anno su anno, è Piacenza, con un +18%, impattato probabilmente dalla concentrazione di diversi poli logistici. 

Le categorie più richieste secondo Infojobs

Secondo la piattaforma Infojobs, le categorie professionali più richieste sono le seguenti:

1 Magazziniere/Addetto alla logistica

2 Agente di vendita

3 Infermiere

4 Addetto alle pulizie

5 Addetto vendita/Sales Assistant

6 Impiegato contabile

7 Impiegato amministrativo

8 Operaio di produzione

9 Impiegato commerciale

10 Elettricista

Sicurezza sul lavoro e sicurezza del lavoro: uno studio interessante di Infojobs

Lavoro e sicurezza e sicurezza sul lavoro: un legame inscindibile. Ma come viene percepito? La piattaforma per la ricerca di lavoro online Infojobs, in occasione dell’evento toscano Jobbando (che racconta novità, innovazioni e scenari sul mondo del lavoro, quest’anno realizzato totalmente online, dedica questa sesta edizione proprio alla riflessione sul tema della sicurezza), ha presentato i risultati di una ricerca che aveva proprio questo come tema.

Infojobs ha interpellato i candidati per chiedere la loro opinione sul concetto di sicurezza, un tema quanto mai attuale in questo 2020. Cosa vuol dire sicurezza sul lavoro e del lavoro? Covid-19 ha cambiato la percezione di sicurezza? E cosa succede alla sicurezza in sé stessi come professionisti? Domande che un po’ tutti ci poniamo, ma che ora trovano risposte davvero interessanti.

L’importanza della sicurezza sul lavoro

Per l’83,8% la sicurezza è da intendersi nel senso più classico del termine, ovvero come il rispetto delle norme di legge per garantire la salute e la sicurezza sul posto di lavoro. Solo il 16,2% pensa in primis alla sicurezza del lavoro, ovvero contrattuale.

Secondo il 75,2% le norme sono rispettate (per il 27,2% addirittura si va oltre gli obblighi di legge, segno di una grande attenzione delle aziende alle politiche di sicurezza). Tuttavia, c’è un 13,7% che dichiara che gli obblighi di legge non sempre vengono rispettati e un 4,2% per cui gli obblighi vengono disattesi in maniera sistematica. 

Per quanto riguarda invece la sicurezza post Covid, per il 68,2% degli intervistati le nuove regole vengono rispettate (mascherine, turni, etc.), mentre per il 4,3% del campione il problema non si pone perché è ancora in vigore il full smart working. Rimane però un 15,6% che non si sente sicuro, perché i colleghi non rispettano le norme e addirittura un 12,1% che afferma siano l’azienda o i responsabili i primi a non rispettarle.

Dati che devono far riflettere in un senso e nell’altro, soprattutto alla luce delle disposizioni governative che sul tea Covid-19 sono davvero chiare.

Sicurezza del lavoro

Diversa è la la percezione, sempre secondo lo studio di Infojobs, rispetto alla questione “sicurezza del proprio lavoro” dal punto di vista contrattuale. Infatti, oltre il 50% dei lavoratori non si sente sicuro di poter mantenere il proprio lavoro in questo momento di emergenza. C’è un buon 27,3% degli intervistati che si sente molto sicuro e ritiene la propria azienda solida, mentre il 16,2% crede che, anche se precario, il contratto sarà rinnovato nonostante gli effetti del Covid-19. Vi è però un 33,5% precario che teme un mancato rinnovo e addirittura un 23% che, pur avendo un posto fisso, ha paura di perderlo a causa della crisi o di eventuali riorganizzazioni aziendali. 

Come è cambiato il mondo del lavoro nell’epoca del Covid-19? Secondo il 48,3% non è cambiato nulla, a parte l’adozione dei dpi, più della metà degli italiani hanno visto il proprio lavoro cambiare, con diverse sfaccettature. Per il 19% le nuove normative hanno cambiato modalità e processi; il 23% ha proprio cambiato tipologia di lavoro perché la mansione precedente non può più essere svolta; il 9,6% invece ha dovuto adattarsi a una scelta aziendale di revisione dell’organigramma. 

Quello che deve farci riflettere è tuttavia la sicurezza in noi stessi per quanto riguarda il lavoro. Il 79,5% si sente lo stesso professionista di sempre, attrattivo anche in un mercato diverso, mentre i restanti hanno paura di non riuscire ad adattarsi al nuovo contesto (6%), o che le proprie competenze non siano più adeguate (6,7%), alcuni temono che la lontananza dall’ambiente e dai colleghi rendano meno utile il proprio lavoro (3%) o ancora altri temono di sentirsi meno ingaggiati e motivati da remoto (4,9%)

Nonostante le paure per la propria salute, il 24,7% riesce a mantenersi produttivo e concentrato al lavoro, il 18,6% è fiducioso nella propria azienda e addirittura il 20,3% ripone fiducia nella ripresa in generale. 

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Lo smart working e lo spazio di lavoro tra famiglia e… gatti!

Sarà per molti una consuetudine che continuerà per diversi mesi e ne abbiamo più volte messo in evidenza i vantaggi. Eppure, ci sono situazioni in cui l’ufficio ci manca. Il silenzio della stanza, televisioni e radio spente, nessuno che turba la nostra concentrazione. Ma a casa le cose vanno in modo decisamente diverso.

La nostra “casa-ufficio” è un ambiente in cui dobbiamo convivere con situazioni poco professionali. Per questo, InfoJobs, piattaforma per la ricerca di lavoro online, ha chiesto ai propri iscritti come si svolge la vita degli italiani ai tempi del lavoro agile, con una particolare attenzione ai meeting online, che hanno sostituito le riunioni in presenza.

Smart working e spazio di lavoro: i risultati del sondaggio

Il primo dato emerso dall’indagine InfoJobs è che le call e video call sono ormai un’abitudine quotidiana del lavoratore “agile”: se la metà degli intervistati (52%) trascorre al telefono meno di un’ora, l’altra metà vi dedica tra una e tre ore al giorno (34,8%), con picchi di quattro ore e più (13,2%).

E sono video call importanti molto spesso in cui vengono stabilite strategie e programmi aziendali. Farle in casa comporta una serie di precauzioni, partendo proprio dalla scelta del luogo in cui farle. Si cerca un luogo dove l’audio sia perfetto e dove si è sicuri di non essere disturbati (48,5%), ma anche dove ci sia uno sfondo neutro per non far vedere troppo la casa (26,7%) e mostrare la propria sfera intima. Un aspetto curato? Importante (19,4%), ma meglio essere preparati per l’agenda del giorno (22,4%) e non tralasciare nulla.

Top e flop delle video call da casa

Quali sono i tormentoni delle video call fatte dalla proprie abitazioni? Il sondaggio di InfoJobs parla chiaro…

  1. Sei in muto! (55,4%)
  2. Scusate, il citofono! (45,9%)
  3. Chiudo la finestra, oggi i vicini hanno deciso di tenere un concerto / tagliare l’erba / fare i lavori (30,6%)
  4. Prova a togliere il video che magari prende meglio (30,5%)
  5. Non si capisce nulla, parliamo uno alla volta! (29,4%)

I 5 imprevisti più frequenti delle call da casa

Questi sono invece gli “incidenti” che mettono maggiormente in imbarazzo.

  1. Figli che urlano o litigano, giocando o facendo videolezioni (46%)
  2. Familiari di vario genere e con mise improbabili che irrompono nelle stanze-ufficio già occupate, e quindi nello schermo (41,1%)
  3. Sfondo standard, sempre lo stesso angolo di casa, ma con arredamento o dettagli caratteristici (28,8%)
  4. I rumori del collega multitasking: il tramestio dei piatti, l’acqua del bagno, lo sfrigolio del soffritto… (27,6%)
  5. Il gatto che passa davanti al monitor (20,8%)

Alla fine il lavoro va comunque avanti…

Che siano al telefono, via mail o via chat, le richieste dei capi trovano sempre il modo di arrivare e in cima alla classifica della domanda più ricorrente i lavoratori sono d’accordo:  il 53,6% dichiara che i superiori chiedono soprattutto di fissare una video-chiamata di aggiornamento periodica del team, magari per monitorare i progressi di un’attività e valutare insieme opportunità e criticità; segue per il 28,4% degli intervistati l’immancabile last minute, ovvero quella richiesta di report/preventivi o proposte che hanno deadline stringenti. I capi rimangono tali anche a distanza, coordinano e a volte controllano: chiedono email di aggiornamento su progetti speciali (18%), ma anche sulle attività giornaliere con una email di riepilogo (13,7%).

Anche fra colleghi, la richiesta più frequente è un allineamento del team (59,6%), segno che tenersi in contatto ed essere aggiornati è una necessità soprattutto quando non si lavora più fianco a fianco. A seguire troviamo il bisogno di supporto (47,5%) o una proposta di divisioni delle attività per rispettare le deadline stabilite, magari dal capo o dai clienti.

E proprio prima di affrontare il capo, secondo il 14,1% fra “pari” è frequente la proposta di un pre-meeting, in una sorta di… tutti d’accordo sulla versione da raccontare! Solo il 2,5% organizza caffè o aperitivi virtuali, che sembrano non poter sostituire quelli reali nel cuore degli italiani.