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Giornata dello stagista: le soft skills per conquistare il lavoro

Negli Stati Uniti è più conosciuta come la “National Intern Day”, alle nostre latitudini il 29 luglio è definita come la Giornata dello Stagista.

Per lo stagista, o tirocinante, quello dell’apprendistato è forse il periodo lavorativo più brutto, in quanto, nell’incertezza di riuscire, si fatica il doppio (se non il triplo), per mettere in tasca, nella migliore delle ipotesi, un terzo di quello che fanno gli altri, nello stesso numero di ore. Eppure gli stage, nelle aziende serie, possono essere davvero utili per formare professionisti qualificati: l’importante è che il periodo di apprendistato sia delimitato temporalmente.

Gli stagisti e la pandemia

Certamente gli stagisti sono tra le categorie che più hanno risentito del problema della pandemia. Secondo uno studio del sito internet Glassdoor, solo negli USA il 50% dei programmi di stage è stato cancellato nella primavera del 2020. Ulteriori conferme a tal proposito giungono da un sondaggio, di portata globale, condotto dall’International Labour Organization in collaborazione con la Commissione Europea: 6 tirocinanti su 10 (58%) hanno visto interrompere il proprio periodo formativo in azienda in tempo di pandemia.

L’indagine ha visto rispondere oltre 900 aziende e la percentuale più alta di interruzioni, pari al 64%, è stata registrata all’interno delle grandi imprese e delle multinazionali. Anche l’Italia si dimostra sulla stessa lunghezza d’onda: a ottobre 2020, infatti, stando ai dati forniti dal Ministero del Lavoro, gli stage extracurricolari, retribuiti e svolti al di fuori del percorso scolastico si sono ridotti del 48%, passando da 185mila a poco più di 96mila. Queste interruzioni e riduzioni hanno spinto sempre più giovani e potenziali stagisti a lavorare sulla loro crescita personale, in particolar modo, in ottica soft skills che, come indicato da USA Today, sono sempre più ricercate dai datori di lavoro

Ma in che modo? Secondo la rivista economica statunitense Fast Company, i giovani hanno identificato ben tre modalità con cui poter apprendere le competenze desiderate: seguire i consigli dei più esperti, partecipando a eventi di networking o facendo interviste informative, scaricare dei contenuti video, oppure vivere delle esperienze di volontariato. A tal proposito è importante citare anche PR Newswire: entro il 2024, infatti, il mercato globale della formazione proprio sulle competenze trasversali dovrebbe crescere di ben 15 miliardi con un tasso composto di crescita annuale dell’11%. E ancora, University World News ha realizzato un studio sul tema secondo cui l’insegnamento delle soft skills diventa fondamentale a tal punto che diversi datori di lavoro in Ruanda hanno contribuito all’inclusione di competenze come la comunicazione, l’imprenditorialità e l’alfabetizzazione informatica nell’istruzione superiore, in modo tale da formare nella maniera più completa possibile i nuovi giovani lavoratori ormai prossimi a terminare gli studi. 

Massimo De Donno, fondatore di GenioNet e ideatore di Genio in 21 Giorni, il corso di formazione sul metodo di studio personalizzato che viene distribuito in oltre 50 sedi tra ItaliaSpagna, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti, ha dichiarato a tal proposito. “Per imparare le soft skill non è sufficiente leggere o studiare, sono necessari un percorso educativo e formativo di qualità e, allo stesso tempo, anche un ambiente positivo ricco di esempi o modelli da cui poter apprendere queste nuove competenze o abilità. La messa in pratica di queste soft skill, all’interno di un vero e proprio laboratorio applicativo, ci consente di crescere in modo tale da consolidare le competenze stesse poi nel quotidiano. Per approfondire quanto affermato in precedenza, noi di Genio abbiamo istituito la Soft Skills Academy, un percorso grazie al quale i nostri corsisti hanno l’opportunità di costruire il loro futuro, partendo proprio da pilastri di assoluto spessore e importanza come le competenze trasversali”.

Secondo un recente sondaggio pubblicato da HR Executive le 5 competenze più richieste dai datori di lavoro sono: è la tendenza al teamwork (57%), seguono la comunicazione efficace (55%), il time management (46%), il problem solving (45%) e, infine, la creatività (44%). A queste vanno aggiunte quelle indicate da Best Colleges, ovvero la flessibilità, la capacità di collaborare, di organizzarsi, quindi anche di rispettare le scadenze, di essere reattivi ai feedback e, infine, l’attitudine alla gestione dei conflitti all’interno del workplace. 

10 soft skills per conquistare il posto di lavoro secondo Massimo De Donno

  1. Il teamwork, ovvero la capacità di saper lavorare in gruppo.
  2. Il time management, quindi l’attitudine ad organizzare il lavoro e a rispettare le scadenze.
  3. La comunicazione efficace: si tratta di una dote fondamentale sia per interfacciarsi con i clienti sia con i propri colleghi di lavoro.
  4. Il problem solving, il qualeconsiste nell’abilità di trovare soluzioni adeguate a prescindere dall’imprevisto lavorativo.
  5. La creatività: le idee originali vengono sempre considerate con grande attenzione. 
  6. La gestione di eventuali conflitti sul posto di lavoro.
  7. La leadership, quindi la capacità di prendere decisioni e assumere l’iniziativa
  8. La flessibilità, ovvero l’adattamento alle diverse situazioni all’interno del workplace.
  9. La reattività ai feedback e l’attitudine di adeguare la propria operatività ad essi.
  10. La tendenza a collaborare attivamente con i propri colleghi.
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Reskilling, parola chiave per il futuro del lavoro

Abbiamo più volte visto l’importanza che ha assunto la capacità di acquisire nuove skills in questo momento storico. Ma cosa cambierà in futuro? Poco o niente. Entri i prossimi 20 anni, almeno la metà dei lavori oggi esistenti saranno automatizzati (totalmente o in parte) e milioni di lavoratori (secondo alcune stime 375 milioni di professionisti) saranno costretti a cambiare lavoro a causa dell’impatto che digitalizzazione, automazioni ed intelligenza artificiale avranno. Secondo un recente studio del World Economic Forum questo tema sarà sempre più centrale nei prossimi anni, anche dal punto di vista economico.

E quindi, quali saranno le abilità che i 30-40enni di oggi dovranno acquisire? Cosa succederà a questi professionisti? Il futuro del lavoro post Covid-19 vede nella parola chiave reskilling una definizione quanto mai azzeccata.. Il mondo del lavoro, soprattutto nell’ultimo anno, è notevolmente cambiato e anche i professionisti hanno necessariamente dovuto evolversi per adeguarsi ad un contesto sempre meno stabile. Le aziende sono costrette (e lo saranno sempre più in futuro) a valutare le competenze delle risorse già presenti in azienda e fare in modo che queste siano allineate con le esigenze di business. 

“Spesso – afferma Francesca Contardi, managing director di EasyHunters, prima società di ricerca e selezione con un Digital Operating Process – il vero problema è legato alle soft skills, ovvero alla capacità di adattarsi al cambiamento e di muoversi efficacemente all’interno del nuovo modo di lavorare. La tecnologia, lo abbiamo visto in questo ultimo anno segnato dall’emergenza Covid-19, ha un duplice ruolo: è certamente un alleato (pensiamo alla possibilità di continuare a lavorare da remoto nonostante le chiusure), ma richiede anche un aumento di competenze per poter sfruttare al meglio le potenzialità e le opportunità che offre. I professionisti over 40 sono, probabilmente, quelli che hanno maggiori difficoltà nel ricollocarsi, perché si trovano in un periodo molto particolare della loro carriera. Ci troviamo di fronte a tantissimi candidati che dopo un anno di sacrifici e di lavoro a distanza si stanno ponendo la domanda se quello che fanno è davvero quello che potranno fare per i prossimi 20 o 30 anni. Sono professionisti, spesso molto qualificati in uno specifico campo, che nel breve dovranno per forza di cose riconvertirsi per restare al passo con le nuove professioni soprattutto in campo informatico e tecnologico”. 

La situazione in Italia

Negli Stati Uniti la necessità di riqualificazione dei profili senior costerà oltre 34 miliardi di dollari. In Italia il quadro potrebbe anche essere peggiore. Il nostro paese, infatti, può contare tra le forze lavoro più anziane a livello mondiale, dopo Germania e Giappone. Secondo l’Istat oggi l’età media dei lavoratori del nostro paese è di 44 anni ed aumenta di circa 6 mesi ogni anno. Non solo. 

Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale già nel 2022 un quinto degli occupati avrà un’età compresa tra i 55 e i 64 anni e, solo 3 anni dopo (e quindi nel 2025), saranno addirittura uno su quattro. 

Soft Skills Generazione Z: sono più flessibili e amano lavorare in team

Generazione Z, ovvero i giovani professionisti tra presente e futuro. Come stanno vivendo questo momento? Di cosa hanno bisogno? Secondo un’analisi di Jobtech, agenzia per il lavoro digitale, a fasce d’età diverse corrispondono attitudini e peculiarità più marcate: mentre i Millennials sono più metodici e amanti del lavoro in team, i più giovani, nella cosiddetta Generazione Z, si rivelano più flessibili ma insicuri sul lavoro.

I risultati dell’indagine

L’indagine, che ha analizzato 1000 profili alla ricerca attiva di lavoro in Italia, ha studiato non le cosiddette hard skill – titolo di studio, competenze e esperienza – ma le soft skill, le caratteristiche relazionali e della personalità. Per farlo, Jobtech ha diviso il campione tra Generazione X (i nati tra il 1965 e il 1980), Millennials (dal 1981 al 1995) e Generazione Z (i nati dal 1996 al 2010). Secondo i risultati dello studio, l’inserimento di una risorsa della Generazione Z garantisce una maggior flessibilità oraria e di attività, ma espone potenzialmente le aziende ad una maggiore insicurezza nel prendere decisioni, soprattutto a fronte di responsabilità. I Millennials, dal canto loro, sono più propensi a mantenere un clima positivo sul posto di lavoro e preferiscono uno stile lavorativo più metodico ed organizzato rispetto agli altri. La Generazione X offre una maggior stabilità emotiva sul luogo di lavoro e ottime capacità organizzative, che vengono richieste da parte dei candidati anche alle aziende a cui si offrono. In generale, tutti i lavoratori si sono detti ordinati, propensi e portati alla collaborazione, attenti all’ambiente di lavoro e interessati ad instaurare rapporti sociali all’interno del proprio gruppo di lavoro. 

Generazione Z: dominano i picchi di energia

Quelli della Generazione Z dichiara in misura più alta della media (il 28% in più) di avere uno stile di lavoro maggiormente dettato da picchi di energia casuali invece di un approccio metodico ed organizzato. I più giovani si definiscono più sognatori rispetto alle altre generazioni censite (20% in più dei millennials e 40% in più in confronto alla Generazione X) ma ammettono di soffrire più degli altri le situazioni di stress. Gli uomini, in particolare, sono risultati i più procrastinatori di tutto il campione ma anche i più preoccupati del parere degli altri.  

Millennials: i più motivati

I millennials, al contrario, non amano improvvisare sul lavoro: preferiscono uno stile lavorativo più metodico ed organizzato, meno dettato dallo stress e dalle scadenze, rispetto alle Generazioni Z e X. Sono risultati la fascia d’età più energica e motivata (15% in più della media complessiva). 

Generazione X: meno empatici, ma più sicuri

Coloro che sono alla ricerca di un impiego e fanno parte della generazione X si definiscono meno soggetti ad emotività e maggiormente equilibrati, poco inclini a eventuali sbalzi di umore (il 63% si arrabbia raramente contro il 50% dei Millennials e della Generazione Z). Si sentono più sicuri rispetto alle generazioni più giovani, uomini in particolare (10 punti percentuali in più rispetto alle donne di questa fascia). Di contro, sono i meno empatici di tutto il campione. Le donne in questa fascia d’età, invece, si reputano più propense ad elaborare un piano di attività e a rispettarlo (86% delle donne vs. 73% degli uomini).

“Avere in organico un mix giusto di persone appartenenti alle diverse generazioni porta a migliori risultati in azienda – dichiara Angelo Sergio Zamboni, Co-founder di Jobtech – e questo è molto importante soprattutto in un periodo contrassegnato da una generale difficoltà a trovare lavoro. Grazie ai dati che raccogliamo e al confronto continuo con i candidati siamo in grado di offrire una consulenza HR a tutto tondo ai nostri clienti, facendo leva non solo su titoli di studio e competenze, ma anche su caratteristiche spesso poco evidenti a una prima lettura dei CV”.