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Welfare aziendale: 1 lavoratore su 5 non conosce gli strumenti a disposizione

Welfare aziendale questo sconosciuto. Almeno per buona parte dei lavoratori italiani. Questo è quanto emerge dal 6° rapporto Censis-Eudaimon, secondo il quale solo 1 lavoratore su 5 conosce a fondo gli strumenti messi a disposizione dal welfare.

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Come raggiungere il worklife balance: 5 suggerimenti utili

C’è chi sostiene di avercela fatta a ottenere il giusto equilibrio tra la vita lavorativa e quella privata, riuscendo a lasciare questi ambiti separati.

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Settimana corta sul lavoro: ecco cosa sarebbero disposti a fare gli italiani

Lavorare con il modulo della settimana corta, per molti italiani rappresenta un’idea davvero interessante, in quante permette una migliore gestione del work life balance. Sebbene in Italia sia un benefit che riguarda solo il 5,9% delle persone, stanno nascendo diversi progetti pilota e proposte dettati anche dalla necessità di ridurre i costi energetici e non solo dalle esigenze dei lavoratori.

L’ADP Research Institute all’interno del proprio studio “People at Work 2022: A Global Workforce View” ha analizzato le tendenze svolgendo un’indagine che ha coinvolto circa 33.000 lavoratori in 17 paesi, di cui circa 2000 in Italia.

Il risultato, facilmente attendibile, è che il 56% degli italiani sarebbe disposto a passare alla settimana lavorativa da 4 giorni, portando a 10 ore l’impegno di lavoro giornaliero.

Nello stesso tempo il 35% di questi, sarebbe disposto a ridursi lo stipendio pur di ottenere un migliore work life balance. Il 26% degli intervistati accetterebbe una riduzione media del 9,9% dello stipendio se questa garantisse loro la flessibilità di decidere come strutturare le ore lavorative, anche senza una riduzione dell’orario di lavoro settimanale.

È ormai un fatto piuttosto frequente che tra i fattori principali che contribuiscono alla scelta di un posto di lavoro, il 48% degli italiani abbia indicato il work life balance come importantissimo: infatti, si posiziona al secondo posto dopo la lo stipendio (68%).È un criterio che vede protagoniste soprattutto le donne (52%) rispetto agli uomini (44%), ma comunque trasversale a tutte le generazioni e che, anzi, aumenta con l’avanzare dell’età lavorativa.

Inoltre, è una necessità particolarmente sentita da quelle categorie di lavoratori che non hanno accesso al lavoro da remoto (52% vs 44% di chi fa uso di smart working) e che, quindi, desiderano poter usufruire di forme alternative di flessibilità lavorativa.

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Flessibilità e work-life balance: come sono cambiate le cose?

Come abbiamo detto già diverse volte attraverso queste pagine, quello che viene definito ritorno alla normalità anche nel mondo del lavoro, porta con sé una serie di riflessioni su come siano cambiate le esigenze e il modo stesso di condurre la propria quotidianità. Flessibilità e work-life balance sono le parole chiave del momento e per capire meglio quali sono le implicazioni post Covid-19 nel lavoro, LinkedIn ha condotto una ricerca che permette di riconoscere bisogni e sensibilità condivisi dai lavoratori sui temi della flessibilità.

I dati dello studio

Il primo dato interessante che emerge è che il 64% degli intervistati in Italia è convinto che la pandemia abbia cambiato per sempre il modo in cui lavoriamo: il 55% dice di voler dedicare più tempo ad altri aspetti della propria vita ed il 61% dichiara di aver capito, in questi ultimi due anni, di voler lavorare in modo più flessibile

Nonostante queste certezze, i dubbi non mancano: dallo studio risulta che 1 intervistato su 2 pensa che il lavoro flessibile generi più confusione che mai, per via delle nuove modalità organizzative ed il 48% che lo stigma associato al lavoro flessibile non sia mai stato così forte e sentito tra le donne.

Il 22% delle intervistate ha infatti detto di provare imbarazzo per il fatto di lavorare in modo flessibile, contro il 17% degli uomini. La work-life balance è un’esigenza particolarmente avvertita dalle donne (47%), mentre solo il 34% degli uomini afferma lo stesso. Interessante anche evidenziare il dato anagrafico di chi ha risposto: più di 2 su 5 tra i millennial (età 24-41 anni) sostengono che il work-life balance sia una priorità, i baby -boomers condividono questo punto di vista (39%), mentre la Gen Z si rivela la meno sensibile a questo aspetto (35%). 

Il rapporto con il lavoro

A fronte delle nuove esigenze, il 59% degli intervistati non ha mai lasciato, o considerato di lasciare, il proprio lavoro perché non abbastanza flessibile (dato che sale altissimo, toccando il 79%, tra i baby-boomer), il 15% ha effettivamente cambiato lavoro per questa ragione, a fronte di un dato medio europeo del 21%.

Da evidenziare anche come la percentuale di lavoratori italiani che ha considerato di lasciare il proprio impiego perché troppo poco flessibile coincida perfettamente con quanto rilevato, in media, su scala europea (27%). Una decisione che, in Italia, ha un impatto diverso sulle donne: ad esempio, il 21% degli uomini ha optato per una carriera come freelance, mentre lo stesso è avvenuto solo per il 6% delle donne. 

Cosa pensano le aziende

Come hanno affrontato il cambiamento di cui sopra le aziende? Dallo studio di LinkedIn emerge che oltre 7 hiring manager intervistati su 10 hanno dichiarato che la propria azienda ha aumentato e migliorato la propria offerta in termini di flessibilità negli ultimi due anni.  Tra le priorità che gli Hiring Manager individuano per favorire ulteriormente l’equilibrio tra vita professionale e privata dei dipendenti figurano l’implementazione di servizi di supporto alla salute mentale e l’estensione dei permessi legati alla genitorialità. Dalla ricerca emerge una tendenza generale ad accogliere le richieste dei lavoratori, resta il fatto che il 24% dei rispondenti pensa che i dipendenti della propria azienda siano insoddisfatti delle politiche di flessibilità implementate e più di un quarto di loro ritiene che tali politiche siano insufficienti a garantire un adeguato bilanciamento tra impegni personali e vita lavorativa.

Questo risultato ha un valore ancora maggiore se si pensa che il 27% ha visto una riduzione dello stipendio come conseguenza del lavoro flessibile, per il passaggio a un contratto part-time. Inoltre, 3 persone su 10 hanno affermato di lavorare la stessa quantità di ore, ma per uno stipendio più basso.

Chi ha invece optato per una politica volta a favorire le nuove necessità ha visto lavoratrici e lavoratori che si sentono più supportati (38% dei casi). Inoltre, oltre il 30% pensa che una maggiore flessibilità aiuti a ridurre i livelli di stress e burnout e ad accrescere il senso di motivazione. Al cuore della visione pro-flessibilità c’è l’idea che questa sia necessaria per coltivare i talenti.

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