Workmonitor Randstad: c’è tanta voglia di cambiare lavoro. Ecco perché…
C’è tanta voglia di cambiare, di provare nuove esperienze, nella vita quotidiana (dopo tante costrizioni), ma anche nel lavoro. Secondo le rilevazioni del Workmonitor, l’indagine semestrale sul mondo del lavoro, realizzata da Randstad in 34 Paesi, intervistando per ogni nazione un campione di oltre 800 dipendenti fra 18 e 67 anni, emerge che più della metà dei lavoratori italiani sta cercando un nuovo lavoro o inizierà a farlo a breve.
Le motivazioni possono essere molto diverse e quello che è importante capire è che i manager delle aziende non possono perdere i loro talenti e allo stesso tempo devono cercarne altri.
I dati dello studio
È importante da subito mettere l’accento sul fatto che il 29% dei lavoratori italiani oggi sta attivamente cercando un nuovo impiego (l’Italia è al terzo posto al mondo in questa classifica), percentuale che arriva al 38% nella fascia tra i 25-34 anni. E un altro 24% sta pensando di cercarne uno nuovo, con un’incidenza più alta tra le fasce giovanili. D’altronde, gli italiani sono in penultima posizione al mondo fra coloro che nell’ultimo anno hanno ricevuto un aumento di stipendio (il 19%), in ultima per distribuzione dei benefit (53%), tra i meno agevolati dalla flessibilità (il 62% non può scegliere quante ore lavorare, il 60% dove e il 50% quando).
Altri numeri importanti: oggi il 38% lascerebbe il proprio datore di lavoro se non tenesse conto delle sue richieste, percentuale che sale addirittura il 56% tra i giovani di 18-24 anni.
Il ruolo del lavoro nella vita delle persone
Uno dei motivi principali per cui si cambierebbe lavoro è che lo stesso non è più in grado di soddisfare le ambizioni di realizzazione personale, in particolare tra i giovani. Per due terzi degli italiani (77%) “il lavoro è importante nella vita”, ma meno della metà (49%) lo ritiene realmente in grado di offrire uno scopo. E per il 60% la vita personale e più importante di quella lavorativa. Oltre metà (53%) dichiara addirittura che se i soldi non fossero un problema sceglierebbe di non lavorare affatto.
Questo aspetto riguarda soprattutto la generazione Z. Infatti, oltre un terzo dei dipendenti (ben il 36%) ha già abbandonato un lavoro perché non si adattava alla propria vita privata, la percentuale sale al 51% tra i 18-34 anni. Il 38% degli italiani lascerebbe il lavoro se questo gli impedisse di godersi la vita, ma è pronto a farlo più di metà dei lavoratori dai 18 fino a 25 anni. Addirittura, il 23% dei dipendenti preferirebbe essere disoccupato che infelice sul lavoro, ma nella fascia 25-34 anni l’incidenza sale al 34%.
Nell’era dello smart working, le considerazioni legate alla flessibilità sono aumentate per gli italiani, ma non come dovrebbero. Infatti, il 76% dei lavoratori italiani auspica una flessibilità di orario, il 70% di luogo. Ma le aziende la offrono solo nel 50% dei casi per l’orario e nel 40% per il luogo. Il risultato è che il 27% dei lavoratori ha già lasciato un lavoro che non offriva, secondo il loro giudizio, una sufficiente flessibilità (percentuale che sale al 49% tra i 18-24 anni).
Il tempo libero è destinato maggiormente alla famiglia (nel 66% dei casi), poi a prendersi cura di sé (49% fisicamente, 19% salute mentale), coltivare passioni (44%), viaggiare (34%), pensare al proprio sviluppo personale (24%), socializzare (12%). Poi vengono le attività di welfare familiare (26%) o comunitario (13%).
Le ambizioni professionali
Le ambizioni professionali risultano spesso poco considerate. Il 70% pensa che la formazione sia rilevante, ma solo per il 65% il lavoro attuale offre le giuste opportunità di formazione. I bisogni formativi più sentiti sono competenze utili a consolidare il ruolo attuale (nel 58% dei casi), sviluppare di competenze tecniche (53%), la formazione digitale (44%), lo sviluppo soft skill (40%). Gli italiani puntano meno alla riqualifica in vista di un nuovo ruolo (39%).
Tra le diverse azioni intraprese dai datori di lavoro per rendere felici i dipendenti negli ultimi 12 mesi, solo il 19% ha ricevuto un aumento di stipendio (contro il 36% nella media globale), il 23% ha ricevuto una nuova opportunità di formazione o sviluppo (25% globale), il 22% ha visto un aumento della flessibilità di orario di lavoro (26% globale) e il 26% di luogo (28% globale). E appena il 15% ha riscontrato maggiori vantaggi (contro il 22% a livello globale).